mercoledì 9 aprile 2008

Il singhiozzo dell'uomo bianco di Pascal Bruckner


"Che un libro diventi sempre più attuale via via che il tempo passa, è cosa rara. Anzi paradossale. In particolar modo quando si tratta di un libro strettamente legato alla contingenza storica: in tal caso dovrà essere capace di attingere dal momento specifico un significato di più largo raggio, di natura più profonda. E' questo il caso di Il singhiozzo dell'uomo bianco, scritto da Pascal Bruckner nel 1984 ed ora riproposto, più attuale di quanto non fosse allora. E' uno specchio attendibile di questa nostra realtà, che pure è così mutata negli ultimi vent'anni. Sincero e spietato, anche. Il tema di fondo di Bruckner, qui e altrove, è il senso di colpa dell'Occidente. Retaggio di un antico gesto biblico, il peccato originale della nostra civiltà ci induce, secondo il polemista, a una continua svalutazione dei nostri modelli, dei nostri comportamenti collettivi, nel passato così come nel presente. Questo vezzo del parlar male di sé e bene dell'altro, chiunque esso sia, è in fin dei conti un virtuosistico avvitamento del narcisismo. In termini storico-politici si traduce in un relativismo culturale che conduce necessariamente ad una impasse: dove si arrestano quei valori che l'Occidente dà per scontati - i diritti primari dell'individuo, senza discriminazioni di sorta -, in nome del rispetto per le culture altre? Esotiche e in quanto tali oggetto, vuoi materialmente nel passato vuoi idealmente ancora oggi, di un atteggiamento paternalistico? Secondo Bruckner, che lo si ammetta o no, l'Occidente è ancora animato da questo spirito 'coloniale' che vede nelle culture alternative una sorta di buon selvaggio insindacabile, qualunque cosa faccia o pensi. Ne consegue una costante svalutazione dei modelli e dei valori che l'Europa - e l'Occidente in generale - porta con sé: 'In che modo l'odio di sé sia divenuto il dogma centrale della nostra cultura, è un enigma di cui la storia d'Europa è feconda'. Che cosa rappresenta dunque, secondo Bruckner - e in particolare per quella sinistra occidentale che fra il 1960 e il 1980 è stata, secondo lui, in preda a 'un appetito pantagruelico per il mondo' - l'emisfero Sud (in questi vent'anni l'ago della bussola si è soltanto leggermente piegato verso Oriente, senza che muti la sostanza della questione) del mondo? 'Un favoloso giacimento di illusioni, la palpitante ebbrezza di un'aurora dell'umanità'. Questa vana ricerca di una chimera è il filo conduttore del giudizio storico e politico che una certa parte dell'Occidente, e nella fattispecie quella fregiatasi del progressismo, ha riservato e continua a riservare al mondo 'altrui'. Entro questo contegno, fondamentalmente autoreferenziale perché pensa più ai propri errori che alle presunte virtù altrui, vige la retorica secondo cui è buono solo chi soffre, chi patisce. E la vita nel benessere è di conseguenza una colpa ineludibile. Bruckner dedica alcune pagine molto intense, piene di sarcasmo e verità, a quello che capita quando un turista occidentale - armato di tutte le migliori intenzioni, compresa la convinzione di aver raggiunto una buona consapevolezza sociale - si trova faccia a faccia con la miseria, con la dignità calpestata in tanti luoghi del mondo. Viene sgomento ma anche imbarazzo, e poi fastidio, non si capisce bene se verso di sé o verso quell'umanità che la storia ha precipitato così in basso. Ma questo libro non è soltanto un'amara denuncia, uno spietato scoperchiamento di luoghi comuni. Bruckner ha una prosa vibrante, da pamphlet. Però non si ferma lì: propone invece un diverso approccio all'Altro. Lucido e rassegnato al tempo stesso. Quanto mai moderno: 'Perché ci saranno sempre gli altri: per quanto tollerante, liberale possa diventare la cultura occidentale, essa non farà mai dell'alterità una parte dell'identità'." (da Elena Loewenthal, L'odio di sé non abbandona l'Occidente, "TuttoLibri", "La Stampa", 29/03/'08)

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