martedì 1 febbraio 2011

Art Spiegelman


"Quando si parla con Art Spiegelman si ha l'impressione di entrare nell'ombelico di un mondo.
È l'autore di Maus, il fumetto che attraverso topi e gatti umanizzati ha parlato dell'Olocausto, è uno dei padri fondatori del romanzo a fumetti, il suo nome è stato inserito nella lista delle persone più influenti stilata da Time Magazine nel 2005, e due anni dopo è apparso in una puntata dei Simpson, come accade solo ai miti consacrati. Il fatto curioso è che lo Spiegelman autore di fumetti è sempre macerato dai dubbi: anche nell'introduzione di Be a Nose!, la raccolta di schizzi pubblicata ora da Einaudi, parla dell'ansia da prestazione e delle sue tante paure. Quello che concede interviste è invece disinvolto, sicuro di sé e anche molto diretto.
Mr. Spiegelman, pensa che quella che stiamo vivendo sia l'età d'oro del romanzo a fumetti? Si tratta di un mondo nuovoo di una moda passeggera? «Credo che molte persone abbiano ancora paura di questa novità. Nel 1994 i giornali Usa di parte repubblicana titolavano: i fumetti sono cresciuti. Ormai è un dato di fatto, lo sanno tutti. E la cosa più significativa è che sono state superate le categorie. Nel fumetto di genere ha ancora senso parlare di western o di supereroi. Ma oggi fumetto può essere tutto: autobiografico, giornalistico, ma non solo: può parlare della vita».
I lettori vanno educati ad accettare questa trasformazione? «Mi è difficile parlare dell'Italia, ovviamente, ma credo che l'educazione al romanzo a fumetti sia naturale. Nella maggior parte delle università abbiamo corsi sul fumetto come li abbiamo sulla letteratura moderna».
Ecco, questo in Italia non accade. «Potrete recuperare. D'altronde siete stati all' avanguardia sul divieto del fumo». Consoliamoci così ... «Ad ogni modo, ho voluto reagire alla pessima qualità dei libri che insegnano a leggere con i fumetti, e che fanno moltissimi danni, realizzando un mio libro. Si intitola Jack and the Box, e credo sappia svolgere il suo compito in maniera divertente e non stupido. Lo pubblicherà da voi Orecchio acerbo».
Perché, insieme alla considerazione per il nuovo fumetto, lei spesso ricorda, quasi fosse un dovere, la grandezza di alcuni maestri del passato, come Winsor McCay (creatore del sognatore Little Nemo) e George Herriman (Krazy Kat)? «Ma perché la storia del fumetto è piena di opere importanti. Ed è bello che finalmente di alcuni grandi autori o personaggi si stiano proponendo le ristampe cronologiche integrali: per esempio dei Peanuts, dodici volumi che tutte le biblioteche vogliono avere nei loro scaffali. Ora, anche il fumetto ha la sua storia, ufficiale e non più segreta. Scoprire Little Nemo, per me non è stato facile né ovvio. Oggi ogni giovane artista ha a disposizione questo personaggio per costruire se stesso. E come è accaduto a Caravaggio, che è stato a lungo completamente dimenticato, altri grandi maestri del fumetto potrebbero essere riscoperti. Un'impresa più facile, visto che la storia del fumetto è significativamente più breve di quella della pittura».
Ritiene che la stessa evoluzione che vive il fumetto si possa trovare nel cinema o nella letteratura? «Il cinema è un grande business, e oggi è difficile fare film intimi e personali. Mi sembra che sia come quella parte di fumetto in cui vincono le storie spettacolari e gli effetti speciali. Per quanto riguarda la narrativa, le persone hanno sempre meno tempo da dedicare alla lettura, e i fumetti possono proporre lo stesso rapporto con il lettore tipico di un romanzo».
Quali registi la stanno appassionando? «Il primo nome che mi viene in mente è quello di Robert Siodmak, regista tedesco nato nell'anno 1900 di cui sto seguendo la retrospettiva al MoMA. Ma immagino lei mi chieda il nome di registi di oggi, e allora posso rispondere Terry Gilliam. E' stato interessante vedere The Social Network e Inception, ma in genere trovo più interessante il cinema del passato».
E gli scrittori? «Tra i giovani amo Michael Chabon e Jonathan Lethem ... Qual è il libro che ho appena finito di leggere? Ecco, sì, è Olive Kitteridge, un ciclo di racconti legati l'uno all'altro (è di Elisabeth Strout, del Premio Pulitzer 2009, ndr) di cui mi ha molto interessato la struttura. Mi piacciono molto le opere che mi suggeriscono nuove strategie narrative».
Quindi per lei i libri sono anche strumenti di ispirazione. Ce ne sono altri? «Mi piace il fumetto perché è interdisciplinare. Perché il montaggio delle vignette può portare a infinite soluzioni diverse. Cerco nei libri, nel cinema, nei fumetti, sul web quelle connessioni, anche non narrative, che possano portarmi al di là dei miei ricordi, dell'utero di mia madre».
Perché ci sono voluti così tanti anni per avere un suo libro di schizzi? «Innanzitutto perché aspettavo che qualcuno lo volesse. Poi perché si tratta di un oggetto particolare, concreto, tanto è vero che è composto di tre libretti di diverso formato. E poi perché uno schizzo permette un accesso diretto nel cervello dell'autore. E' come mostrare le linee che il cardiologo riceve dalle tue pulsazioni».
Ha celebrato in maniera particolare la giornata della memoria? «Niente di particolare. Sono impegnatissimo con il mio nuovo libro, che uscirà qui negli States alla fine di quest'anno. Sarà un libro ma anche un dvd, con interviste, filmati, testimonianze che riguardano Maus - a 25 anni dalla sua prima pubblicazione. Un lavoro che risponde alle tre domande che mi hanno fatto tutti: perché i fumetti? perché i topi? perché l'Olocausto? E che mi ha obbligato a rituffarmi nella mia memoria personale»." (da Luca Raffaelli, Art Spiegelman, "La Repubblica", 31/01/'11)

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