sabato 18 dicembre 2010

Dieci prove di fantasia


"Critico e filologo insigne, Cesare Segre si è concesso Dieci prove di fantasia (Einaudi), anche se alimentate da scrittori e da libri che ha amato e frequentato. E, in analogia con la sua mutazione da studioso a scrittore di immaginazione, ha operato nei confronti dei personaggi un capovolgimento, o quanto meno una rettifica, delle loro più accreditate rappresentazioni.
Intendiamoci, il filologo è sempre alle poste, sia quando decide di privilegiare uno tra i diversi racconti tramandati sullo stesso protagonista, sia quando si tratta di contestare le confessioni d’autore o di suggerire la possibilità, per quanto irrealizzata, di un evento. La sorpresa più clamorosa riguarda Gano di Maganza. Il fellone della tradizione cavalleresca diventa un pacifista che vuole porre termine al maniacale e disastroso bellicismo di Rolando, che si atteggia ad «eroe di professione». Del trovatore Guillem de Cabestanh si racconta - con l’avallo di Dante, Boccaccio e Stendhal - la rovinosa passione per Soremonda, la moglie di un barone. Questi, dopo averlo ucciso, gli strappò il cuore facendone un manicaretto per la fedifraga che non gliela diede vinta e si buttò dalla finestra. Gli storici
hanno dimostrato che Guillem durò così vivo e vegeto da partecipare, anni dopo i presunti ammazzamenti, a una famosa battaglia contro i musulmani. Ma gli storici, si sa, non si arrendono, come qualche filologo, alla bellezza e alla verità di una leggenda.
Venendo a tempi più vicini, incontriamo la figura enigmatica della donna cantata da Machado con il nome di Guiomar. Dopo la morte del poeta, svelò la sua vera identità, ingegnandosi tuttavia ad affermare la natura esclusivamente intellettuale e platonica del loro rapporto. Ma Segre non abbocca e rileva con finezza che «il loro gioco di inserire rispettivamente versi dell’uno nelle composizioni dell’altro sembra sublimare un intreccio impetuoso dei corpi».
Non è vero poi, ma sarebbe potuto accadere e avrebbe dato un tocco ideale al racconto della sua ultima notte, che Pavese sfogliasse Il mestiere di vivere. Mentre, dalla stanza accanto, si avvertiva l’ansito di due amanti appagati.
Perché quel libro che traccia due parabole opposte, il trionfo nella letteratura e il fallimento nell’amore, rappresenta un persuasivo viatico per la sua morte. Il manoscritto del diario fu trovato in realtà in un cassetto del suo ufficio: «Basta un particolare - annota Segre rassegnatamente - per cambiare tutto».
Sono variazioni condotte con grande eleganza, con divertita e talora pensosa ironia, movimentate dall’alternanza dei punti di vista.
Riguardano ancora Isotta, trafelata nel tessere inganni a re Marco; la dissoluta Cunizza da Romano messa in Paradiso da quel «mattacchione di Dante»; Vittorio Alfieri, invischiato con esiti farseschi nelle trame amorose di Penelope Pitt; Charles Bovary che contesta il marchio di gonzo impressogli da Flaubert.
Concludono la rassegna due interviste immaginarie: a Giulio Cesare, maestro di una realpolitik non dismessa ai nostri giorni; a Marie Le Jars de Gournay, figlia adottiva e curatrice non disinteressata dei saggi di Montaigne. Il senso complessivo che si ricava da queste Prove di fantasia è, al di là del tono scanzonato, un omaggio alla polivalenza ed effabilità di un testo letterario, che sembra rigenerarsi
nel passare del tempo e offrire sempre nuove occasioni al piacere della lettura." (da Lorenzo Mondo, Se Dante e Pavese avessero preso un’altra via, "TuttoLibri", "La Stampa", 18/12/'10)

Basta una lettera per il riscatto di Charles Bovary ("La Repubblica")

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