martedì 30 marzo 2010

Persi in un vuoto di memoria


"Ogni anno, il 27 gennaio, si celebra il Giorno della Memoria, ma se la Shoah fosse avvenuta al tempo di internet, se l'ordine di Goering fosse stato scritto nel 2042 invece che nel 1942, ci sarebbe il fondatissimo rischio che, nel 2310, scomparsi tutti i testimoni, non ne rimanga più traccia. Più niente ordine di Goering sulla soluzione finale (sarebbe stata una e-mail finita chissà dove), più nessuna lista di documenti, più nessun film (rischio che dopotutto vale già per tragedie recenti: quanto dureranno le foto di Abu Ghraib, se rimangono solo su formato digitale?), più niente di niente. Non ci sarebbe stato nessun giorno della memoria, perché non si sarebbe saputo che cosa si ricordava, oppure un simile giorno, in aperta contraddizione con la sua essenza, sarebbe stato un rito misterioso, in cui si celebrava la memoria di un evento dai confini vaghi e inafferrabili. [...] Ecco perché scegliendo la memoria come tema di quest'anno, il Salone del libro di Torino ha centrato un punto cuciale. In effetti, l'umanità conosce dei momenti critici di trasformazione. Il primo è stato il passaggio dalla cultura orale alla società della scrittura, e in particolare il momento in cui in Grecia si è giunti alla alfabetizzazione diffusa, intorno al V sec. avanti Cristo. Il secondo è stato il passaggio dal manoscritto al libro, con l'invenzione dei caratteri mobili di stampa per opera di Gutenberg. Il terzo è stato il passaggio, recentissimo, a una scrittura esplosa e diffusa nel web, che diventa una vera e propria biblioteca di Babele, ma che rispetto ad essa non ha grandissime garanzie di durata.
Perdonate il catastrofismo, ma questa epoca, nella sua lussureggiante fioritura di documenti, potrebbe essere l'ultima, non per mancanza di documenti, ma proprio al contrario, per il motivo opposto. Mi spiego. Da sempre la nostra è una società della registrazione, e questo per il semplice motivo che non ci può essere società senza registrazione. Il sapere, la ricchezza, il potere, oltre che tutte le forme di rapporto sociale, richiedono delle registrazioni, il che spiega il motivo per cui la scrittura compare così presto nella storia dell'umanità, e in una funzione così cruciale: la storia ha inizio con la scrittura, basti dire che non abbiamo un solo nome proprio, dunque nessun individuo in senso proprio che ci venga dalla preistoria; e dunque la presitoria può sempre di nuovo incominciare, basta che si perdano i documenti. Ecco perché la domanda sull'avvenire della memoria è cruciale: quanto dureranno le masse di documenti che produciamo intenzionalmente e ancor più non intenzionalmente in ogni istante della nostra vita e ogni decisione della società? [...]
Mentre tutto questo avviene, in un contesto in cui nessuno sa niente perché non si ha la minima esperienza storica di una trasformazione del genere, noi beatamente riempiamo con le nostre carte i bidoni della raccolta differenziata. La fine della storia non ha fortunatamente avuto luogo per mancanza di nuovi eventi e di progresso. Sarebbe grave se si verificasse, a sorpresa, per mancanza di documenti, e che della società più documentata e documentale della storia non dovesse alla fine rimanere alcuna traccia. Potrebbe così succedere che di tutta la Comédie humaine del nostro secolo non resterà nemmeno un nome, e che sopravvivranno solo i marchi impressi sugli oggetti. Poco male, forse. Ma è anche vero che a quel punto il detto di Valery, 'noi, civiltà, ora sappiamo che siamo mortali' troverà il suo pieno significato." (da Maurizio Ferraris, Persi in un vuoto di memoria, "Il Sole 24 Ore Domenica", 28/04/'10)

2060: con quali fonti si farà la storia del nostro presente? (convegno su memoria storica e mondo digitale)

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