sabato 6 marzo 2010

Diario di lettura: Luisa Muraro


"Nell'accogliente casa milanese di Luisa Muraro, sulla Darsena, gli ultimi libri arrivati sono divisi secondo il sesso degli autori. «E' un modo come un altro per orientarsi - dice lei - e piuttosto immediato per chi, come me, è lettrice lenta e amante delle riletture, e non segue passo passo l'attualità». Filosofa cresciuta con Gustavo Bontadini, scrittrice, traduttrice, figura importante del femminismo italiano, la Muraro è stata tra le fondatrici della Libreria delle Donne e della Comunità filosofica Diotima. E con l'8 marzo va d'accordo da poco.
«E' una ricorrenza che ho sempre snobbato, ma mi ci sono riconciliata qualche anno fa, rendendomi conto che molte donne, di varia condizione, ne facevano un uso buono, riempiendo i locali pubblici in modo allegro e festoso. Ora mi capita di partecipare anche ad alcune iniziative organizzate per l'occasione, facendo attenzione, però, a scegliere solo quelle veramente sentite».
Come si è avvicinata al femminismo? «Negli Anni Sessanta, quando arrivarono le prime ondate dagli Stati Uniti, ancora prima che iniziasse il movimento italiano, ho iniziato a leggere Sexual Politics di Kate Millet e Betty Friedman, La mistica della femminilità. Poi da noi sono iniziati i gruppi di autocoscienza: il trionfo dell'oralità, un'esperienza molto intensa, cui non rendono giustizia le spente trascrizioni. Quindi con la maggioranza delle donne gli scambi restavano orali. Solo il rapporto con Carla Lonzi è stato sempre mediato dalla scrittura: non l'ho mai conosciuta, ma ho molto apprezzato i suoi librini verdi, come Sputiamo su Hegel. Poi, dal 1975 ho scoperto Luce Irigaray, con Speculum e Questo sesso che non è un sesso, che è diventata il mio punto di riferimento per il pensiero della differenza. Insieme agli scritti politici di Virginia Woolf, Le tre ghinee e poi Una stanza tutta per sé, che leggo e rileggo».
E Simone de Beauvoir? «Con Simone de Beauvoir non c'è stato feeling: nel suo Secondo sesso, che pure parla in modo intelligente della storia delle donne, non ho trovato cenni alle streghe, e mi è sembrata una grave mancanza. E poi era compagna di scuola di Simone Weil, di cui sono grande appassionata, ma non si sono mai incontrate. Non sono una pensatrice critica: non ho tutte le mediazioni della critica letteraria dotta, e quelle letture che si devono fare per essere informati per lo più le evito. Non mi sono mai avvicinata, ad esempio, a Dacia Maraini, né a Oriana Fallaci. Né, più di recente, alla Lipperini. Del resto a suo tempo non mi aveva convinto Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti: non mi è piaciuto quel modo di censurare il modo materno di festeggiare una figlia femmina».
Oltre all'incontro con Luce Irigaray, nel 1975 aprì anche la Libreria delle Donne. «Sì, e fu un'iniziativa rivoluzionaria. Adesso si fatica a comprenderne la portata, ma a quei tempi vendere solo libri scritti da donne aveva un gran significato, poiché persino le donne colte avevano poca familiarità con la letteratura femminile. Si avevano pregiudizi verso le scrittrici: io stessa ad esempio pensavo che Jane Austen scrivesse per dare consigli di comportamento alle ragazze, e l'avevo sempre evitata. Dopo anni passati ad occuparmi solo di saggi, l'ho scoperta allora, insieme a Ivy Compton-Burnett e a Elsa Morante. Il femminismo è uno sfondamento di ordine intellettuale, oltre che simbolico e sociale: quando la differenza femminile interviene, cambia il paesaggio circostante. È il processo simbolico di un movimento interiore, e la lettura si presta benissimo a questi viaggi, è come e meglio delle droghe».
A proposito di moti interiori, lei si è occupata a lungo di misticismo. «Sì, per anni ho seguito la letteratura mistica. Da Guglielma e Maifreda, su cui poi ho anche scritto, fino a Clarice Lispector, La passione secondo GH. Un'altra mia passione è Margherita Porete, che avrei anche voluto tradurre in una versione laica, più completa di quella uscita per San Paolo. Sicuramente Simone Weil l'aveva letta, senza sapere chi fosse. Tornando ai nostri tempi, sono significativi gli scritti autobiografici di Thérèse Lisieux Martin, conosciuta dai cattolici come Teresina del Bambin Gesù. Lei viveva la religione in una dimensione sciamanica, aveva l'idea di poter riversare dei benefici sull'umanità andando nell'aldilà. Ma si capisce che alla fine della sua vita perde la fede, e arriva a teorizzare che l'ateismo non è un'aberrazione, ma il frutto del nostro tempo: l'uomo moderno non può più, antropologicamente, credere nell'immortalità dell'anima. Anche Thérèse è una donna di frontiera».
In questa idea di viaggio e di frontiera, come si colloca la poesia? «La poesia è insieme riposo e fatica. Quelle di Amelia Rosselli sono come un viaggio per la mente in luoghi difficili che ti cambiano e ti purificano, strappandoti ai vizi e alle cattive abitudini. Quelle di Emily Dickinson le uso per esprimere i miei pensieri, e faccio le mie personali traduzioni. È un parlare allegorico il suo, per comprenderlo è necessario un salto in un altro mondo».
E gli scrittori uomini? Ce n'è qualcuno che ha amato? «A un certo punto della mia giovinezza sono arrivata a leggere Moravia, La noia, ma era così brutto che per un periodo ho smesso di leggere narrativa. Ci sono alcune eccezioni, tra cui
Gadda e Italo Svevo. Tra i miei prediletti c'è anche Luigi Meneghello, che viene dalle mie stesse parti. E Giacomo Leopardi, che per me è soprattutto il pensatore e il filosofo dello Zibaldone, non tanto il poeta. E poi il Manzoni dei Promessi Sposi e della Colonna Infame, che consiglio agli studenti e racconto ai nipotini».
Sta lavorando a qualche libro? «No, e non ne ho nessuna intenzione. Al momento però il tema che mi interessa è il rapporto tra potere e politica: sembra che ormai siano considerati la stessa cosa, ma non è così. La politica è al contrario sfuggire ai meccanismi del potere, per reinventare la condizione e la convivenza umana, con libertà e giustizia».
Parlando di politica, di fronte ai recenti scandali pensa che il femminismo abbia fallito? «Che c'entra il femminismo? Semmai, ne esce confermato nella sua critica della politica e dei partiti, ma anche questa è una forzatura, le esigenze che avanziamo si pongono su un altro piano rispetto alla storia degli uomini. Oggi ci riconosciamo in una Veronica Lario. Detesto anche il moralismo spicciolo che critica le veline: niente di male a mostrarsi se può essere l'inizio di una carriera, purché non sia l'anticamera della prostituzione. Non fanno fare una bella figura alla tv italiana, ma questo è un altro discorso. Non bisogna mai giudicare le singole persone che provano a tenersi a galla, piuttosto bisogna prendersela con chi è in posizione di potere».
Qualche consiglio di lettura? «E' difficile senza conoscere chi li riceve. In generale amo darne di trasversali, perché la gente muova la mente. Oltre a Storia delle colonna infame direi Anna Maria Ortese, che uso anche nella Scuola di scrittura pensante che tengo presso la Libreria delle Donne; Gli imperdonabili di Cristina Campo, che è lettrice di Simone Weil e scrittrice di rara bravura. Per chi è interessato alla grammatologia come arte scientifica, un bel libro è Le regole e le scelte di Michele Prandi. A chi vuole riflettere sulla politica propongo il discorso di Roosevelt che ha lanciato il New Deal, un esempio di retorica di ottima qualità. E a tutti gli uomini consiglio Lettera a D., l'atto di pentimento di André Gorz per non aver detto alla sua compagna quanto fosse preziosa»." (da Giulia Stok, Teresina, nostra santa femminista, "TuttoLibri", "La Stampa", 06/03/'10)

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