mercoledì 18 marzo 2009

Giovanni De Luna: "Il pensiero è sempre più leggero"


"Andrea Romano via dall'Einaudi, Francesco Cataluccio via dalla Bollati Boringhieri. In questi primi mesi del 2009 l'editoria torinese è stata investita da un piccolo terremoto il cui epicentro si ritrova nella saggistica, un filone a cui entrambe le case editrici hanno affidato per anni il loro fascino e la loro credibilità culturale. Questi avvicendamenti appartengono ormai alla normalità di un mondo che ha perso tutti i suoi monumentali riferimenti del passato. Figure come quelle di Sergio Piccioni e Tristano Codignola per La Nuova Italia, Giulio Bollati e Alfredo Salsano per la Bollati Boringhieri, per non parlare di leader carismatici come Giulio Einaudi o Livio Garzanti, erano pilastri inamovibili che garantivano una continuità rassicurante per i collaboratori e anche per gli autori. Non è più così, da un pezzo, e lentamente ci si sta abituando a una sorta di permanente instabilità. Inoltre, le due vicende hanno risvolti personali e aziendali assolutamente specifici. Il fatto però che si riferiscano entrambe a figure centrali per la saggistica (e in particolare di quella storica) si presta a qualche considerazione complessiva. La cultura accademica continua incessantemente a produrre ricerche corpose e scientificamente ineccepibili. Una volta queste ricerche transitavano praticamente senza soluzione di continuità dal mondo universitario a quello editoriale e poi al mercato. Basti pensare alla mitica collana rossa della Feltrinelli o a interi pezzi del catalogo Einaudi degli Anni '70. Oggi no. Quel transito si è interrotto e quelle ricerche si fermano nelle collane universitarie, nell'editoria a pagamento, nelle pubblicazioni degli atti dei convegni o di dispense stampate in vista dei concorsi. Perfino Il Mulino, una delle più solide roccaforti di una saggistica 'pesante', sembra voler fare qualche concessione alla 'leggerezza' del mercato, a partire dalla 'ristrutturazione' in questo senso dell'omonima rivista. Il successo del revisionismo ha fatto scuola. Migliaia e migliaia di copie vendute di libri che programmaticamente rifiutano di fornire le 'prove' delle loro argomentazioni, si affidano a modelli narrativi (lo pseudo romanzo o il finto dialogo) che nascondono l'inconsistenza delle tesi storiografiche proposte, si sottraggono al confronto con la verità (o con la verosimiglianza), per inseguire i clamori del successo mediatico e obbiettivi immediatamente e squisitamente politici. A questo si aggiunge la frattura che si è consumata tra il mondo della politica e quello della cultura accademica, quella storica in particolare. La storia non appartiene più ai percorsi di formazione della nostra classe politica. Parliamo innanzitutto della sinistra che sull'«affidamento alla Storia» ha costruito tutta intera la sua identità novecentesca: non è un caso che i primi due segretari del Pd abbiano scritto due romanzi. Alle prove di scrittura di Veltroni e Franceschini, si affianca una stagione memorialistica francamente precoce, che ha coinvolto gli ancora 'giovani' segretari dei Ds e del Pds, (Occhetto, D'Alema, Fassino), alle prese con un discorso autobiografico segnato da un compiacimento forse eccessivo visto i risultati conseguiti. Niente a che vedere, per intenderci, con il registro epico, pure venato di rimpianti e nostalgie, dei due libri di Giorgio Amendola (Una scelta di vita, 1976 e Un'isola, 1980). Gli stessi carteggi sul Pci e la Resistenza, pubblicati da Longo e Amendola, e quelli sulla formazione del gruppo dirigente del Pci, curati da Togliatti, appartengono ormai ad altri orizzonti politici, ad altre spinte culturali, e, anche, ad altre 'piante uomo'. La storia è uscita dal bagaglio culturale dei politici e non c'è più quel 'bisogno di storia' che fu all'origine del boom editoriale degli Anni 70. Non ci si percepisce più nella storia, non ci si percepisce più all'interno di quel circuito virtuoso tra passato, presente e futuro, in cui si studiava il passato per capire il presente e progettare il futuro. Ora il passato è muto, il futuro spaventa, tutto è schiacciato su un presente abnorme, dilatato e siamo immersi in uno 'spirito del tempo' segnato da un sapere appiattito sulla semplificazione, sul rifiuto della complessità, su una sorta di approccio 'usa e getta' alla cultura che produce un senso comune affollato di stereotipi, per una conoscenza senza spessore, facile da consumare e dimenticare. Ma se è così, dove trovare gli antidoti se non nella cultura stessa? Non sarà certamente la politica a fermare quella deriva, che anzi asseconda e coltiva in un esplicito gioco di 'rispecchiamento'. Con un po' di coraggio e di orgoglio, uscendo dalla vecchia abitudine di scambiare i gusti dei politici con quelli del lettori, il mondo dell'editoria potrebbe invece riscoprire nella saggistica 'pesante' una risorsa inaspettata, riproponendo un profilo alto del sapere e rispondendo - autonomamente - a una sollecitazione di impegno civile." (da Giovanni De Luna, Il pensiero è sempre più leggero, "TuttoLibri", "La Stampa", 14/03/'09)

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