venerdì 13 marzo 2009

Daniel Pennac: "Cerco nuovo pubblico per Bartleby. Venite a teatro e ve lo leggerò"


"In un piccolo teatro parigino, poco più di trecento posti, a due passi dall'Opéra Garnier, un popolarissimo scrittore legge un capolavoro. Per un'ora, dalle sette alle otto di sera sul piccolo palcoscenico della Pépinière, lo scrittore con il libro Bartleby lo scrivano di Herman Melville in mano, passa da un mucchio di polverosi faldoni d'archivio all'altro. Vi si siede sopra. Fa quello che il protagonista del racconto ha deciso di fare: non sfogliarli, non aprirli più. 'Je préférerais pas', preferirei di no - Melville ha scritto 'I would prefer not to' - ripete Pennac, subito seguito da risatine in sala. Per la prima volta una lettura teatrale diventa come un concerto: il pubblico aspetta il ritornello. Aspetta che Bartleby dica. 'Preferirei di no'. Pennac lo sa, ma sa anche che alla fine, quando per continuare a preferire di no lo scrivano Bartleby si lascia morire di fame in una prigione, il pubblico riderà sempre meno. Tanto che le ultime parole del racconto ('Ah, Bartleby!, Ah, umanità!') cadranno in un silenzio sepolcrale. Lo scrivano assunto nello studio di un notaio di Wall Street si è definitivamente sottratto alla vita, a un sistema produttivo, ha cessato 'di giocare al gioco degli uomini'. [...] Perché ha scelto Bartleby? 'Perché è un testo che amo e avrei voglia di farlo conoscere a più gente possibile. E la gente la trovi a teatro. Se il pubblico continuerà ad avere voglia di venire ad ascoltarmi, vi rimarrò fino a maggio'. Qual è la differenza tra leggere un testo proprio (come era Merci) e uno scritto da un altro? 'Nessuna. In fondo parlo alla stessa "corte". Merci è stato un divertissement. recitavo me stesso, potevo improvvisare. Di Melville non posso cambiare una virgola. Però ho dovuto ricorrere a una piccola sceneggiatura per evitare il carattere ipnotico della lettura. Ho creato una voce per ogni personaggio. Anche per Tacchino e Zenzero, colleghi di Bartleby nello studio di Wall Street, che a un certo punto scompaiono nel nulla'. Non crede che in questo momento di crisi un racconto ambientato a Wall Street su un signore che decide non fare più parte del gioco sia di grande attualità? 'Tutti si sono impossessati di Bartleby. C'è chi nella sua anoressia progressiva ha visto il rifiuto del sistema; chi nel suo 'I would prefer do not', ha visto l'inizio del teatro dell'assurdo e chi invece vede un no alla cupidigia al potere. A me sconvolge anche il notaio, il datore di lavoro, quello che racconta la storia (ma che incarna il sistema), il quale finisce per fare qualunque cosa per cercare di capirlo. Credo che in noi ci sia un po' di Bartleby e un po' del notaio'. E' la sua seconda esperienza di attore. Le piacerebbe continuare? 'Non credo che ci sarà una terza volta. Credo che presto tornerò alla scrittura. Però mi piace essere sul palcoscenico. Il telo bianco che il regista Francois Duval mi ha messo alle spalle riflette la luce sui volti del pubblico. Quando alzo gli occhi dal libro li scruto uno a uno. Se vedo che qualcuno dorme cerco di non svegliarlo. Lo capisco. La gente arriva alle sette, trafelata, dopo il lavoro. E poi non sono contro l'addormentarsi in teatro'." (da Laura Putti, Daniel Pennac: 'Cerco nuovo pubblico per Bartleby. Venite a teatro e ve lo leggerò', "La Repubblica", 12/03/'09)

1 commento:

Anonimo ha detto...
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