lunedì 20 giugno 2011

Che fine hai fatto, letteratura?


"Da un po' di anni a questa parte mi chiedo se da noi esiste ancora la letteratura, o meglio il racconto letterario, dove il lavoro sul linguaggio è molto più impegnativo dello sviluppo del plot. Mi passano tra le mani centinaia di libri dei miei connazionali, spesso molto interessanti per i temi affrontati. Si leggono con una certa sveltezza, non si dilungano in divagazioni, si esprimono in un campo lessicale piuttosto agile ed essenziale, utilizzano una lingua denotativa che tende a omologarli sul piano dello stile. Il lettore fa pochi sforzi, prende per buoni i caratteri dei personaggi, delineati più tramite l'oggettività delle azioni e dei comportamenti che attraverso la menzogna dei pensieri, anzi della lingua dei loro pensieri. Così risultano accattivanti i romanzi e i racconti che hanno trame elaborate e ricche di rimandi e indizi. All'aumento, fin troppo vertiginoso, di raccontatori di storie, corrisponde una visibile diminuzione di letteratura. Ho sempre pensato che spezzare ogni rapporto tra gli uomini e la lingua che li racconta vuo dire togliere alla storia ogni responsabilità sul loro vissuto. La lingua del romanzo è come il coro della tragedia greca, ha funzione di personaggio collettivo. Molto spesso, sfogliando questi libri, anche sbrigativamente, sento con imbarazzo la forte interferenza della figura esterna dell'editor.
Quando ho cominciato a scrivere in prosa, verso al fine degli anni Sessanta, volevo 'fare letteratura', come i miei fratelli maggiori e i miei padri. Non pensavo soltanto a storie da raccontare, ma a inventare uno stile, a giostrare con la lingua italiana in modo da farle dire qualcosa di più rispetto alla pura cronaca dei fatti. C'è da ricordare che ancora non esisteva una lingua nazionale codificata: lo scrittore era obbligato a fare i conti con i dialetti, mentre il suo collega francese aveva a disposizione un codice linguistico condiviso dall'intera nazione. [...] La mancanza di una lingua nazionale ha costretto gli scrittori italiani alla letterarietà, cioè all'invenzione di una lingua scritta che potesse fare da piattaforma, da fondale linguistico al racconto. Pensiamo al Pasticciaccio: una cattedrale di invenzioni lessicali e stilistiche, un concerto di neologismi e contaminazioni sostengono una vicenda flebile e leggiadra, un giallo ambientato nell'epoca fascista. Sarò proprio il grande lavoro strettamente letterario di Gadda a fare di questo romanzo non solo un capolavoro assoluto, ma anche il romanzo più antifascista del secolo. Il miracolo, più che la vicenda narrata, l'ha compiuto lo stile. Quando scrivevo da ragazzo i miei riferimenti erano soprattutto gli scrittori italiani. Da narratore dovevo innanzi tutto confrontarmi con la lingua che usvano i nostri artisti, piuttosto che con quella di traduzione. Da lettore amavo più Flaubert che Guido da Verona, ma da falegname della scrittura mi esaltavo scoprendo i trucchi e i funambolismi di chi sapeva dove mettere le mani nel nostro vocabolario. La 'questione della lingua' ha attraversato tutta la letteratura italiana fin dalla sua nascita, e da giovane passavo intere giornate a seguire l'incessante dibattito tra studiosi e letterati che cercavano di analizzare e decifrare il rapporto del singolo autore con la lingua italiana. Accanto agli scrittori 'sublimi', attenti al senso e al suono della singola parola, come Landolfi o Manganelli, operavano artisti più interessati alle vicende, che usavano la lingua con puro spirito di servizio, coem Moravia o Soldati. A me piacevano sia quelli che questi, anche perché trovavo una buona quota di letteratura anche in chi lasciava sulla pagina, volutamente o no, ripetizioni e sporcature. Il tono di voce dei narranti, il paradigma sottinteso, l'adozione dell'indiretto libero, la mimesi lessicale (alta e bassa), la regressione nei personaggi, facevano in modo che anche lo stile del narratore super partes raccontasse - appunto attraverso il linguaggio - ciò che i protagonisti della vicenda non sapevano di se stessi [...]" (da Vincenzo Cerami, Che fine hai fatto letteratura?, "Il Sole 24 Ore Domenica", 19/06/'11)

Cerami nel catalogo Mondadori

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