lunedì 26 luglio 2010

Leggo il mondo nella mia stanza


"«Cambiano cielo non cambiano cuore / quelli che fuggono di là dal mare» scriveva Orazio all’amico Bullazio, più di 2000 anni fa. E con ciò è detto tutto sulla smania contemporanea di girare ininterrottamente per il mondo globalizzato e turisticamente omologato. La dicotomia viaggiatori e sedentari, scarponi e zimarra, bussola e pantofole è comunque strutturale, fin dai tempi di Ulisse. Ariosto, che s’è inventato persino un viaggio sulla luna e che dello sviamento vagabondo ha fatto poema, scriveva però, nella terza satira: «Chi vuole andare a torno, a torno vada: / vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna; / a me piace abitar la mia contrada. (…) Questo mi basta; il resto de la terra, / senza mai pagar l’oste, andrò cercando / con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra».
Non fu questa la sorte di Xavier de Maistre (1763-1852), fratello minore del più noto Joseph. Di famiglia savoiarda, quando nel 1792 i francesi invasero la sua terra, allora provincia del Regno di Sardegna, vagava tra Piemonte e Val d’Aosta, ufficiale dell’esercito sardo. A Torino, nel 1790, è per 42 giorni agli arresti nella cittadella in seguito a un duello per motivi d'onore. Da lì, per allontanarsi dagli esecrati francesi rivoluzionari, segue in Russia il maresciallo Suvorov. Al servizio dello zar continua la carriera militare e va a combattere in Georgia e nel Caucaso contro i ribelli (ci andrà anche Tolstoj, da quelle parti, e ancor oggi ci si massacra ...), e in Slesia e Polonia contro Napoleone. In Russia sposa una ricchissima principessa, dama di compagnia della zarina e zia acquisita di Puškin, si vede col fratello Joseph, plenipotenziario colà di Vittorio Emanuele I, riprende a viaggiare, torna in Savoia, a Parigi conosce Sainte-Beuve, che gli dedicherà un saggio; in Italia si muove tra Pisa, Livorno, Lucca, Roma, Napoli, Castellammare, incontra Manzoni; l’infelice Paolina Leopardi lo tradurrà nel 1832; torna in Russia dove morirà ultranovantenne. Nella sua lunga vita si occupò anche di ricerca scientifica e nella città natale, Chambéry, l’anno dopo l'esperimento aerostatico dei fratelli Mongolfier (1783), organizzò un volo salendo fino a 2000 mt.
Non si direbbe che uno così abbia scritto, oltre ad alcuni racconti notevolissimi (Il lebbroso della città di Aosta, I prigionieri del Caucaso, La ragazza siberiana) due libretti da autentico flâneur dell’anima, ricchi di rêveries e di fantasticherie, ma anche di piacevolissime digressioni morali e metafisiche, un po’ nello spirito delle Promenades roussoviane. Evidentemente un risarcimento della sua vita errabonda, forse ricordando Pascal: «Tutta l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non saper restarsene tranquilli in una camera».
Nascono così Viaggio intorno alla mia camera (1796) e Spedizione notturna intorno alla mia camera (1799-1823), leggibili nell’ottima traduzione di Carmelo Geraci, autore anche della prefazione e di puntuali apparati, editi in volume unico da Moretti & Vitali. Grazia settecentesca, soprattutto nei deliziosi ritratti femminili, e brividi romantici nelle aperture sgomente e devote all’infinito spaziale e temporale: «Nell’immensità del tutto, l’impercettibile dissolvimento degli esseri e ogni sventura degli uomini non hanno importanza alcuna. (...) No, Colui che inonda di tanta luce l'oriente non l'ha fatto certo splendere ai miei occhi per sprofondarmi subito dopo nella notte del nulla».
A noi, iperscientisti, può apparire una fede ingenua, ma ci tocca l’immagine del vascello che «schiantato dalla tempesta continua a vagare per un po’ sul mare agitato». E subito dopo, ma in un capitolo a sé, spicca sul bianco della pagina: «Finché, infiltrandosi l’acqua a poco a poco fra le tavole sconnesse, il misero vascello scompare inghiottito dall’abisso; le onde lo ricoprono, la tempesta si placa e la rondine di mare rade la distesa solitaria e tranquilla dell’oceano».
C’è qualcosa di leopardiano in questa trasparente immagine dell’indifferenza della natura. E non c’è solo retorica nell’esclamazione: «O tempo, terribile divinità! Non mi spaventa la tua falce crudele; temo soltanto i tuoi orrendi figli, l’indifferenza e l’oblio, che trasformano in una lunga morte i tre quarti della nostra vita». Nel Viaggio la camera è quella della cittadella torinese in cui Xavier passa i 42 giorni di arresti, e c'è ovviamente ironia in questo coatto aggirarsi in una cella, sia pure confortata dalla presenza del domestico Joanetti e della cagnetta Rosina. L'ozio, la nostra perduta virtù, è produttivo: la poltrona è una carrozza che porta in giro il nostro Wanderer (Schubert è riferimento immediato per il lettore) e ogni oggetto della stanza suscita divagazioni narrative, ricordi, ritratti, vagheggiamenti amorosi. Il tono generale è quello del Viaggio sentimentale di Sterne, ma anche del Tristram Shandy, le cui trasgressioni formali e grafiche vengono riprese, sia pure addomesticate. Nella Spedizione è più intensa la meditazione malinconica, la divagazione più riflessiva. Il viaggio interiore si dipana in una mansarda torinese e dura solo le quattro ore che separano il narratore dalla partenza per la Russia. Si svolge quasi tutto a cavallo, ma di un alto davanzale su cui il protagonista si è rischiosamente inerpicato, attratto dal canto di una fanciulla, che intravede fuggevolmente nel balcone di sotto: di lei resterà, unica traccia, una pantofola abbandonata rientrando ... In groppa al suo davanzale il nostro eroe si protende verso l’illimite e commisura l’infinito col finito dell’uomo: «Spettatore effimero d’uno spettacolo eterno, l’uomo alza per un istante i suoi occhi al cielo, e poi li chiude per sempre! Ma durante quel rapido istante che gli viene concesso, un raggio consolatore, partendo da ciascuno dei mondi, da tutti i punti del cielo, dai confini dell’universo, viene a colpire il suo sguardo per fargli sapere che esiste una relazione tra lui e l’immensità».
Ma l’empito romantico, pur così presente nel montanaro Xavier, in entrambi i libri lascia spazio anche a una sentimentalità più Biedermeier, da camera appunto, in cui la nota preponderante è quella dell’affettuosità malinconica, di una quieta gratitudine che si inanella come un ghirigoro di clarino: «Sì, io mi lego con affetto sincero a tutto ciò che mi circonda. Amo le strade che percorro, la fontana che mi disseta; a malincuore mi separo dal ramoscello che ho staccato per caso da una siepe e, dopo averlo gettato via, continuo a seguirlo con lo sguardo, poiché avevamo già fatto conoscenza; rimpiango le foglie che cadono e persino lo zefiro che passa»." (da Gianandrea Piccioli, Leggo il mondo nella mia stanza, "TuttoLibri", "La Stampa", 24/07/'10)

Nessun commento: