mercoledì 7 luglio 2010

Crimini letterari


"La prima regola di prudenza è copiare dagli stranieri: 'prendere dai connazionali è fare bottino, ma prendere dagli stranieri è fare conquiste', scriveva ragionevolmente nel Seicento il cavalier Marino. Meglio ancora rubare dai classici: 'ciò che è studio nel caso degli antichi è furto nel caso dei moderni', decreta poco dopo Georges de Scudéry, che non esitava a attribuirsi gli scritti della sorella. 'Prendere dagli antichi è come fare i pirati al di là dell'Equatore, ma rubare nella propria epoca è come strappare mantelli di notte a Parigi sul Pont-Neuf', rincara il filosofo libertino La Mothe-le-Vayer. Ma nella Repubblica delle Lettere chi si astiene dall'imitazione, dalla citazione non confessata? Nessuno, opina nel 1812 Charles Nodier, in un piccolo saggio esilarante che esce oggi per la prima volta in Italia da :due punti edizioni, nella cura di Andrea L. Carbone: Crimini letterari. Questioni di letteratura legale. Del plagio. Delle contraffazioni che riguardano i libri.
Bambino, Nodier era rivoluzionario; ritrasse il fratello di Robespierre, Bonbon, intento, per evitare esecuzioni in massa, a far ridere di cuore un'assemblea. Poi, prestissimo, diventò conservatore. Gli attacchi ai giacobini e a Napoleone gli fecero perdere alcuni incarichi di bibliotecario, ma poi fece quel mestiere tutta la vita. Scrisse molto, romanzi e bei saggi sul fantastico e il sogno; adottò la squisita eleganza scapigliata dei primi romantici, e trasformò la biblioteca dell' Arsenal di Parigi, che dirigeva grazie al reazionario conte d'Artois - futuro Carlo X -, in un focolaio della nuova scuola. I giovani romantici conoscevano l'inglese; andavano a leggere Byron e Scott nella soffitta del pittore Délécluze; poi si trasferivano da Nodier all'Arsenal, dove ballavano il valzer e ascoltavano rapiti Victor Hugo. A trent'anni, Nodier scrisse sul plagio, fingendo di denunciarne l' uso: ma per ammettere che, tra imitazioni, allusioni, citazioni, interpolazioni, pastiches, tradizioni, echi, riprese e filiazioni, tutta la Repubblica delle Lettere è un immenso campo di falsari, "un furto ininterrotto". E non è detto, in questi crimini seriali commessi dalla letteratura, che il lettore sia la vittima. Molière che trae due scene delle Fourberies de Scapin, che avevano fatto ridere tutta Parigi, dal Pedante ingannato del libertino Cyrano de Bergerac - quello che acquisirà nel 1897, nei versi di Edmond Rostand, un lungo naso diceva che è permesso prendersi il proprio bene dove lo si trova. Nodier stesso adattò in teatro, senza confessarlo, il Vampiro di Bérard, e inserì nella raccolta Infernaliana una novella ripresa di peso dalla Decima giornata del romanzo di Potocki, il Manoscritto trovato a Saragozza. Così, Nodier mostra Corneille mettere in rima Montaigne che copia Seneca, e è usato da Pascal («nessuno raggiunge Pascal nell'audacia del ladrocinio»), e poi da Voltaire ( Alzire) e da Rousseau. Corneille "traduce servilmente" nel suo Héraclius (IV, 4) i versi, vecchi di vent'anni, di Calderón de la Barca (En esta vida todo es verdad, y todo mentira): «O triste Phocas! O troppo felice Maurice! / Tu trovi due figli che muoiano dopo di te! / Io non posso trovarne uno che regni dopo di me!». Ma tra grandi, citarsi è un tributo di stima. «Guai però al plagiario», argomenta Nodier, «se è troppo grande la sproporzione tra quel che ruba e ciò a cui lo incolla». Inutilmente perciò si doleva Voltaire di un tal padre Barre, di cui nessuno si ricorda, che gli aveva rubato duecento pagine della sua Storia di Carlo XII; e invano l'abate Reynal, sempre nel Settecento, tentò di costruirsi una reputazione ai danni del disinteressato Diderot. L'Ottocento dell'Io irripetibile si occupa così, sorridendo, dell'autore e della proprietà dell'opera d'arte. Nel Novecento, il secolo di tutte le sperimentazioni, Cocteau teorizzò, nel 1926, il Ritorno all'ordine del classicismo. Citava l'amato Raymond Radiguet, scomparso ancora ragazzino da un lustro. Radiguet caldeggiava la ricerca della banalità: «bisogna scrivere come tutti gli altri», si deve «copiare». Contro il Flaubert di Bouvard et Pécuchet, ostile alla stupidità del luogo comune, Radiguet decretava che si dovessero appunto "rinfrescare i pensieri comuni"; e scriveva tenendosi davanti, sul cavalletto, La Principessa di Clèves. Insieme al poeta Max Jacob, compose un'Arte poetica, purtroppo ancora inedita: «Non si è mai nuovi in profondità. Ma prendere un abito in prestito, è confessare la povertà del proprio guardaroba». A meno che lo si faccia apposta: come, ai giorni nostri, il rapper macho Doc Ginéco - noto per aver sostenuto in campagna presidenziale Sarkozy - che ama citare Lacan: «sempre solo, anche se la madre persevera» (persevère, cioè, per Lacan, père sévère: madre uguale padre severo)." (da Daria Galateria, Furti d'autore. La letteratura un immenso campo di grandi falsari, "La Repubblica", 07/07/'10)

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