giovedì 10 dicembre 2009

Is Poetry still Possible?


"Il pubblico della poesia e della critica, in Italia, è scomparso. Poeti e critici vagano nel nostro Paese come sonnambuli che la gente scansa, incredula. A che serve la poesia? Come potrebbe sopravvivere nel mondo dell’informazione? Le stesse domande che Montale poneva urbi et orbi nel discorso del Nobel (1975) trovano oggi una risposta chiara nei «niente» e «in nessun modo» che echeggiano da un ministero a un’aula di scuola a un programma tv. Il sogno di De Sanctis - una società progredita o progressiva in un grande racconto di sé - che è stato, pur traumaticamente, lo stesso sogno di Montale, è oggi infranto. E la poesia, anche quella dei poeti laureati, si è nascosta nelle catacombe, in attesa che qualcosa cambi.
Ma che cosa è accaduto? Perché la poesia è diventata un gesto che non ci riguarda? Montale, già all’epoca degli Ossi, in uno dei suoi Sarcofaghi ci dice che il fuoco nel caminetto «verdeggia» in «un’aria oscura»: cioè l’umanità si raffredda, l’«uomo umano» patisce e intristisce nel mondo «meccanico» dell’informazione. Difensore ironico, ma anche intransigente, della continuità umanistica di fronte alla disumanizzazione dell’arte e al male sociale che ne consegue, Montale oppone i suoi no all’ingranaggio globale.
L’individuo pensante e poetante è per lui la sola alternativa all’indecisione, poi allo spegnimento di quel focherello nel camino e in definitiva alla tenebra. Il poeta «soleil couchant» di Baudelaire è per lui l’artefice che umanamente, con il suo calore residuo e insufficiente, disegna figure angeliche «sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza scopo e senza ragione»: l’irrequieta Clizia della Bufera, la cui fronte «si confonde con l’alba». Oppure è il dandy-utopista che protesta contro la disarmonia storica e il cui gesto «implica sfiducia e insieme ottimismo, disperazione e fede nel destino individuale».
Ma soprattutto, poeta è per Montale chi, pur attratto verso l’oscurità e l’aria che «grava», presta le sue cure al mondo: il viandante che aggiunge all’esigua e indecisa fiamma di quel focolare un ramo o una pigna, e riprende poi il suo cammino. La poesia stessa è essenzialmente pietà e comprensione: lo sanno il giovanissimo Montale spiritualista e contingentista del Quaderno genovese e degli Ossi di seppia (lettore di Boutroux, di Sestov) e il vecchio Montale scettico del Quaderno dei quattro anni.
Se la vita umana è stupida come il «sonno dell’abbandonato», priva di segni, segreti, miracoli, fini ultimi, smagliature nella rete che ci stringe, se è esattamente l’idiozia di cui parla l’amato Flaubert, la poesia è il paradosso che rende intelligente la vita. Nonostante il suo leggendario understatement, Montale parla chiaro: la vita da sola, da sé, senza i poeti (e il loro antico ruolo sociale) è simile a quella del vecchio «abbandonato» accanto al focolare freddo: un doloroso, sordo non senso. E quando, nel discorso del Nobel, si chiede: «è ancora possibile la poesia?», la risposta, dalla logica stringente, è affermativa: «Inutile chiedersi quale sarà il suo destino. È come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte dal primo giorno della Creazione». Come dire: la poesia durerà finché durerà la pena degli uomini. (D’altra parte, se la pena non ci fosse, non sarebbe possibile la poesia).
Questa cosa che non ci riguarda più, in quanto collettività e nazione, per Montale è inscindibilmente legata al concetto stesso di umanità. Nell’Epigramma dedicato a Camillo Sbarbaro, vediamo una barchetta di carta che un bambino «affida alla fanghiglia mobile d’un rigagno»: il bambino è il poeta che scrive i suoi versi-barchette e li consegna al mondo-ruscello: il bastone di un «galantuomo che passa» deve poi guidarli al sicuro, a un «porticello di sassi». La poesia, dunque, è un bene di tutti, cui tutti contribuiscono. È una nota che deve centuplicarsi in noi con reti di risonanze ed echi «che rappresentano la sostanza dell’arte stessa». È il principio di qualcosa che si compie nella lettura, e non si compie mai del tutto in una sola lettura. Noi stessi siamo o dovremmo essere la sua dimora, il suo «porticello di sassi». Il punto è indovinare se ci siano o ci saranno, magari tra i nostri governanti, ancora galantuomini come quello che passa, o passava, nell’Epigramma di Montale." (da Giorgio Ficara, Se il poeta finisce nella catacomba, "La Stampa", 10/12/'09)

Montale nel catalogo Mondadori

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