sabato 28 novembre 2009

Diario di lettura: Antonella Agnoli


"Quando nel 1999 l'ex manager dei Sex Pistols Malcolm McLaren si candidò per scherzo ma non troppo a sindaco di Londra, dichiarò che se mai fosse stato eletto avrebbe aperto bordelli per deputati e nuove biblioteche provviste di bar: «E' bello poter bere una Guinness mentre stai leggendo Dickens». Antonella Agnoli, storica bibliotecaria di Pesaro da poco passata alla libera professione, si occupa della seconda parte del programma elettorale del vecchio provocatore punk. E ha da poco pubblicato un libro assai interessante, Le piazze del sapere (Laterza), in cui propone di ripensare gli spazi urbani proprio a partire dalle nuove biblioteche, viste come luoghi della possibile rinascita di un Paese sempre più ignorante, alle prese ormai da anni con l'analfabetismo di ritorno, e in cui le università organizzano corsi di sostegno di italiano non per gli studenti stranieri ma per i nostri diciottenni, «incapaci di scrivere due paragrafi senza strafalcioni».
Signora Agnoli, in Italia come è noto si legge poco: quanto a lettori, siamo agli ultimi posti in Europa. E ci si rincuora se per caso il numero di chi compra almeno un libro all'anno cresce anche solo dello 0,1%. Eppure dal suo Le piazze del sapere traspare non solo un progetto, ma addirittura una speranza. Non le sembra di esagerare? «Il libro nasce da riflessioni che sto facendo da tempo: in biblioteca ho lavorato 33 anni. Di recente mi sono dedicata alla progettazione di luoghi e servizi con l'idea di ripensare la biblioteca. E volevo scrivere un libro che facesse capire che cosa è una biblioteca per una città anche da un punto di vista politico. In quella di Pesaro c'è questo mix di scelte architettoniche / orari / accoglienza. E' un luogo facile. E funziona. Direi che è un libro che i bibliotecari possono usare per dialogare con gli amministratori, che in genere non capiscono perché mai dovrebbero investire in una biblioteca.
Io non metto in discussione le biblioteche storiche, di conservazione. Oltre al fatto che in Italia si legge poco, dobbiamo tener presente che oggi la gente vuole tutto e subito: perché andare in biblioteca al tempo di Internet? Inoltre ci sono i tascabili, e almeno al Centro-Nord da noi le librerie non mancano. Tuttavia in un Paese come la Danimarca si è riscontrato un calo nel numero di prestiti ma un aumento di presenze: la biblioteca vissuta come piazza, alternativa al modello commerciale. Ecco perché la biblioteca può inserirsi in un progetto urbanistico. Il libro diventa un oggetto economico a causa dell’intrecciarsi di cose come la tecnologia, l’ignoranza e l’invivibilità delle nostre città. Io sono convinta che agganciare i giovani e invertire la tendenza sia possibile. Occorre dare loro luoghi e oggetti che abbiano attinenza con la loro vita, e dunque anche musica, cinema, fumetti. In realtà questo Paese ha deciso di non investire nell’istruzione: ma la biblioteca è un servizio trasversale a tutti i servizi della città. Fa da doposcuola al tempo dei tagli e da ritrovo per gli anziani sprovvisti di computer, e serve anche all'integrazione di chi arriva da fuori».
Dopo la sua esperienza a Pesaro è stata chiamata a Londra per collaborare al restyling degli Idea Store. Ci racconta qual è stato il suo percorso? «Ho iniziato a lavorare in biblioteca nel 1976, a Spinea, in provincia di Venezia. Non avevo studiato biblioteconomia e non avevo esperienze precedenti. La biblioteca era in una bella villa veneta con un grande parco. Mi sono detta che dovevo cominciare dai bambini. Ho scelto quelli della Emme, all’epoca all'avanguardia, e alcuni titoli di Munari. Sono stati i bambini a portarmi le mamme. Loro entravano ingobbite, timide. Ho capito che dovevamo tenere anche la narrativa rosa, compresi gli Harmony. In poco tempo un terzo della popolazione era iscritta alla biblioteca. Se avessi puntato sulla Treccani quelle mamme non le avrei più riviste. Dai bambini ho imparato tanto. Non puoi dirgli che non si possono prendere in prestito più di tre libri. La quantità è proporzionale al tempo che uno dedica alla lettura. Vale lo stesso per i film o per la musica».
Questo però è un Paese che i lettori bambini li perde per strada: se ne dolgono spesso anche i librai. «Io sono un'ottimista, o se vuole una militante. Bisogna
lottare, non arrendersi mai. Certo è faticoso perché abbiamo tutto contro: il tempo che manca, i tagli di ogni governo, la tivù, la mancanza di visione da parte della politica. Di recente hanno aperto una biblioteca a Bogotà, decidendo di investire in quella struttura per il recupero della città. Pare che funzioni, voglio andare a vederla. Per tornare ai bambini, spesso per quelli degli immigrati la cultura è ancora un valore. Per loro andare bene a scuola significa come per noi negli Anni Sessanta cercare un riscatto sociale».
Come è nato in lei l'amore per i libri? «Non so se amo i libri. Amo le persone, e certo mi piace che le persone leggano». Da ex commesso di libreria che se l'è sentita fare spesso, mi permetta una domanda ingenua: leggeva molto quando lavorava in biblioteca? «Non sono una grande lettrice. Oddio, non vorrei entrare nello stereotipo dei bibliotecari che non leggono. Ma vede, faccio tante cose, non posseggo una tivù e ascolto molta musica classica. Bach, Sciostakovic, i Quartetti di Beethoven, i Lieder».
Quali sono stati i suoi maestri? «Premesso che sono un'autodidatta, Luigi Crocetti è stato per me un grande bibliotecario. Lui non ci dava mai la soluzione di un problema, ci invitava a ragionare. A Venezia, quando lavoravo per la Biennale Cile, ho conosciuto tra gli altri Franco Basaglia e Luigi Nono. Si andava a cena fuori ed era facile conoscere persone così. Sono stati anni formativi. Prima, a Belluno, frequentavo le osterie e ascoltavo i racconti degli anziani».
E i suoi autori di riferimento? «Ogni periodo ha i suoi. Da ragazza, Mann, La montagna incantata. Ma ora? Le persone cambiano, si trasformano. Oggi leggo molti polar. Certi autori, penso per esempio a Jean-Claude Izzo, hanno saputo anticipare i fenomeni urbani, raccontandoci le periferie prima dei giornali».
Che cosa vuol fare da grande? «Vorrei mettere su un servizio, SOS Biblioteche, a cui ci si possa rivolgere per trasformare i luoghi: rendere accogliente e attraente una biblioteca costa meno che farne una nuova. La biblioteca si porta dietro un sacco di pregiudizi. Come scardinarli? Occorre pensarci»." (da Giuseppe Culicchia, In ogni città ci vuole una piazza del sapere, "TuttoLibri", "La Stampa", 28/11/'09)

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