sabato 15 marzo 2008

Una bellezza russa e altri racconti di Vladimir Nabokov

"Agli studenti che nelle università americane seguivano le sue lezioni sulla letteratura russa, Nabokov spiegava che, per capire sul serio Anna Karenina, bisognava conoscere l'esatta disposizione delle cuccette del treno Mosca-San Pietroburgo. Aveva perfettamente ragione. I treni sono importanti, in letteratura. Il treno è il luogo deputato degli incontri fortunati e degli incontri mancati per un nulla.

Dal finestrino di un treno fermo in una stazione, può capitare di vedere una ragazza con i capelli biondi che ci fa mancare il respiro. Nella penombra dello scompartimento di un treno diretto a Berlino, è possibile che una donna alzi la veletta facendoci stringere il cuore nel petto (anche se, magari, qualche ora dopo, la seguiremo nel suo appartamento), perché vediamo che è tutta incipriata e ha parecchi anni più di quelli che immaginavamo. In quel medesimo scompartimento, può entrare un seccatore. Sulla cuccetta sopra la nostra, verso la mezzanotte, può succedere che si sistemi un uomo corpulento che prima singhiozza disperatamente poi si addormenta come un sasso, non lo riesce a svegliare nessuno, sicché il mistero dei suoi singhiozzi rimane inghiottito dal sonno. Nei treni si parla moltissimo, tant'è che chi vuole e non esce spazientito in corridoio, può collezionare ogni tipo di racconto. Infine, i treni 'lasciano', 'abbandonano', vanno verso l'ignoto. E, mentre i fili elettrici tesi fra i pali che fiancheggiano i binari, si alzano e si abbassano confondendo la vista, e poi scompaiono nella nebbia o nella notte, pure il tempo si dilata e scompare, o perseguita la memoria. Chi lascia, quale città, quali terre abbandona il signore cinico e sentimentale, malinconico e lieto, incosciente e sapiente, che tante volte nella raccolta dei racconti di Vladimir Nabokov, intitolata appunto Una bellezza russa e altri racconti, vediamo seduto in uno di quegli scompartimenti, e sappiamo sarà testimone di svariate avventure più o meno credibili, e si fermerà, ripartirà, arriverà a destinazione, amerà riamato, sarà afflitto da persecutori, incontrerà persone che non riconoscerà o credeva di aver dimenticato per sempre? Quel signore che, in senso assoluto, possiamo eleggere a protagonista ideale di un lunghissimo, unico racconto, in cui si intrecciano avventure di ogni tipo, si incontrano nobildonne in miseria e lestofanti in carriera, ipocriti e candidi, nani e illusionisti, sfrontati e paurosi, signorine in cerca di matrimonio e anziane megere, e nel quale - in questo lungo racconto - dominerà soprattutto una furibonda nostalgia per quello che si è perduto? Dobbiamo immaginare che in Russia è scoppiata la Rivoluzione d'Ottobre, sono passati svariati anni, e chi poteva è fuggito a Parigi o a Berlino. [...] Insomma, vivono la loro vita, nella quiete e nel'inganno, nella gioia e nella disperazione, gli emigrati scappati dalla Rivoluzione, e tuttavia, non c'è giorno, notte, che un pensiero fisso, ossessivo, più disperato di ogni disperazione, non occupi la loro mente. Perché quel treno ha abbandonato per sempre l'inverno russo, la primavera russa, l'autunno russo. Ha abbandonato gli esaltanti mattini pietroburghesi, quando 'la primavera artica, feroce e tenera, umida e abbacinante, spediva in tutta fretta i ghiacci frantumati lungo lo splendore marino della Neva! Faceva brillare i tetti'. Ha abbandonato le facciate dei palazzi verde oliva e celeste profilati di bianco, il lungofiume sul quale camminava la piccola Tanja Godunov, con gli stivali allacciati fino al ginocchio e un cappotto corto blu scuro, mentre il vento del Ladoga faceva svolazzare i nastri del suo berretto. Ha abbandonato il giardino di campagna della proprietà dei conti Godunov, nel quale, vari anni più tardi, sotto gli alberi frondosi e una grande luna in rapida ascesa, la fanciulla diventata adulta aveva stampato sulle labbra del ragazzo timido che non aveva mai smesso di guardarla e di amarla, le labbra morbide che sapevano di sale. Ha abbandonato estati eterne, splendide tavole apparecchiate per le torte con la panna e il tè, meravigliose biblioteche, e vetrine con farfalle silenti conficcate anch'esse in uno splendore eterno, scaloni e soffitte per nascondersi e rincorrersi, orti per cercare le fragole, stagni per bagnarsi. E, in quegli stessi palazzi, i concerti di musica da camera, mentre su San Pietroburgo, fittissima scende la neve, fittissima, e magari in programma c'è la sonata a Kreutzer. E le slitte. Il suono dei campanelli delle slitte che si allontanano. Il suono dei pattini delle slitte sul ghiaccio. E quella felicità misteriosa, improvvisa: 'Quell'onda lunga di felicità che trasforma all'istante l'anima in qualcosa di immenso, di trasparente e prezioso'. Ora, come è possibile dimenticare tutto ciò? Chi potrebbe mai smentire un viaggiatore-scrittore, nel caso in cui volesse sostenere che la sua unica salvezza è la memoria, la sua unica forza è l'immaginazione del cuore? E, però, come non pensare che la vita sia un terribile rischio, se è così facile perderla, tanto da farla diventare un addio perpetuo agli oggetti e alla gente, alle persone che talvolta nemmeno fanno caso al nostro breve, folle saluto? Se il confine fra la vita e la morte è così fatuamente inesistente da confondere, molto spesso, i due punti di vista?" (da Giorgio Montefoschi, Va a Pietroburgo il treno dei ricordi firmati Nabokov, "Corriere della Sera", 15/03/'08)

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