lunedì 24 marzo 2008

La verità non serve a niente di Giorgio Van Straten

"Un romanzo che sa di antico. Che recupera il senso di una narratività lenta e porosa. Che incide nel disagio dei nostri giorni per vie remote, attraverso personaggi di nodi e di segreti.

L'ultimo romanzo del fiorentino Giorgio Van Straten, appena pubblicato da Mondadori, s'intitola La verità non serve a niente, ma non so se sia davvero un buon titolo o perlomeno un titolo che rifletta il cuore del romanzo, perché ne dice solo una parte (la frase è pronunciata da un 'comandante' che tira i fili di una politica da burattini). Personalmente, gli avrei preferito 'Anche se non mi senti, io ti parlo', perché quest'altra frase, estratta da un vecchio racconto scritto dal protagonista, contiene invece tutta la tenacia di un dialogo che riesce ad agire e soprattutto di una letteratura che riesce - perché si ostina - a dire, trasformandosi in dono esclusivo. I fili, infatti, sono almeno due. C'è il filo diretto delle storie narrate e c'è il filo riflesso della scrittura che le narra. Da un lato l'intreccio tra presente e passato, il gioco dei destini che s'incrociano e che s'interrompono come i sentieri di un bosco. Dall'altro lato una piccola e discreta (se non proprio dissimulata) riflessione sulla scrittura, interpretata dall'apparente inconcludenza dell'ottantenne protagonista, che ha scritto in passato racconti di energia trattenuta e che sta scrivendo ora il romanzo della sua vita, quello di più difficile e urgente necessità. Il motivo conduttore è la distanza (una parola chiave). Qui sono tutti distanti da qualcuno o da qualcosa. E più di tutti è distante Nicola, il vecchio scrittore che vive in una sua solitudine aspra e riottosa. Distanti sono i tempi della guerra che gli torna alla memoria (di memoria era intriso il più memoriale dei libri di VanStraten, Il mio nome a memoria). Distante è l'amore provato per Claudia, la persona di servizio con cui ha vissuto per un periodo non breve. Distante il dissenso dei genitori che lo allontanano. Distante la militanza politica nelle file di un partito che subisce la crisi dei carri armati in Ungheria. Distante la vita del figlio Bernardo, che si svolge a sua volta - e per sua scelta - ben distante dalla vita del padre e da altre vite (o addirittura dalla vita). Bernardo ha intrapreso la carriera politica nel partito che il padre ha lasciato, fino a diventare ministro, ed è colto dal romanzo nel punto in cui - preso nella tela di ragno delle logiche di potere - è costretto a dare le dimissioni che non vorrebbe dare. Ha le sue distanze anche Valentina, giovane praticante di un giornale che nella circostanza delle dimissioni del figlio si mette sulle tracce del padre per averne un parere. Distante dai genitori e distante da molte altre cose, Valentina. Ma anche anello di congiunzione e un po' magica aiutante che riesce pian piano a estrarre da Nicola - dopo un primo sconfortante approccio - un bisogno di contatto. È lei a stanarlo. Lei ad ammansire gli aculei del riccio. Lei a fare da tramite tra padre e figlio. Lei a forare la crosta del 'mondo opaco e refrattario che la circonda'. Lei, dunque, ad accogliere il dono del segreto che il vecchio scrittore le affiderà in un gesto di rinuncia vitale, se è vero che 'la letteratura può causare dolore a chi la fa e anche a coloro che la leggono, ma il dolore a volte serve a capire. Ammesso che la gente abbia voglia di capire, invece che di essere consolata'. Di quale segreto (narrativo) si tratti non voglio rivelarlo, perché il lettore ha diritti che impongono al critico il dovere della reticenza. Ma certo da quel segreto si schiudono a ritroso frammenti e spiragli di commozione. Nel romanzo di Van Straten molto si parla di cattura della luce, di uno splendore che s'insinua nelle pieghe e negli interstizi, che s'incunea nell'oscurità, che anima momenti brevi (una gita al mare, un gesto giocoso, un paesaggio emblematico, come accade in certi scorci tra Roma e le colline circum maremmane). Per fortuna, qui non accadono miracoli e la distanza tra i personaggi non si scioglie in una coincidenza felice o in una prossimità a lieto fine. Il dolore e il grumo restano. Ma consegnati come sono alla forza non appariscente di una scrittura che ne rischiara il fondo, suonano - senza essere facilmente consolatori - tanto più onesti e persuasivi." (da Giovanni Tesio, Il lungo addio agli affetti e alla politica, "TuttoLibri", "La Stampa", 22/03/'08)

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