venerdì 14 marzo 2008

L'effetto Lucifero di Philip Zimbardo


"Siamo soliti pensare che il bene e il male siano due entità contrapposte e tra loro ben separate, così come i buoni e i cattivi che riteniamo tali per una loro interna disposizione. Per effetto di questa comoda schematizzazione che ci rende innocenti a buon prezzo, noi, che ci pensiamo 'buoni' escludiamo di poterci trasformare nel giro di poco tempo in carnefici crudeli, attori in prima persona di quelle atrocità che ci fanno inorridire quando le leggiamo nei resoconti di cronaca o le vediamo in tv. Per rendercene conto, e lo dobbiamo fare per conoscere davvero noi stessi, è sufficiente che leggiamo il libro di Philip Zimbardo, L'effetto Lucifero (Raffaello Cortina). Lucifero prima di diventare Satana, il principe del male, era il portatore di luce, l'angelo prediletto da Dio. Ciascuno di noi può trasformarsi da Lucifero in Satana, non per predisposizione interna come crede la psicologia quando distingue il normale dal patologico, al pari della religione quando distingue il buono dal cattivo, ma per altri due fattori che sono il 'sistema di appartenenza' e la 'situazione' in cui ci si viene a trovare. Non erano dei criminali per natura Heinrich Himmler e Adolf Eichmann quando portarono a compimento con abnegazione lo sterminio degli ebrei, ma dei 'burocrati' con uno spiccato senso del dovere al loro sistema di appartenenza che era l'ideologia nazista. Lo stesso si può dire di Franz Stangl, direttore del campo di concentramento di Treblinka che aveva il compito di eliminare tremila deportati al giorno perché l'indomani ne giungevano altri tremila. 'Il metodo l'aveva ideato Wirt. E siccome funzionava, mio compito era di eseguirlo alla perfezione', rispose a Gitta Sereny che in una serie di interviste (oggi publicate da Adelphi col titolo In quelle tenebre) gli chiedeva cosa provava. La stessa risposta la diede il pilota americano che sganciò la bomba atomica su Hiroshima a Gunther Anders che gli poneva analoga domanda: 'Che cosa provavo? Nothing. That was my job'. Quando la responsabilità si restringe e, da responsabilità nei confronti degli effetti delle nostre azioni, si riduce a responsabilità nei soli confronti degli ordini ricevuti, queste risposte sono corrette, così come ci sentiamo tutti noi quando, negli apparati di appartenenza ci limitiamo a eseguire perfettamente il nostro mansionario, i programmi ministeriali nelle scuole a prescindere dalle condizioni culturali in cui si trovano i ragazzi che le frequentano, gli interessi dell'azienda a prescindere dalle condizioni in cui si effettua il lavoro (compresi i morti sul lavoro) e dai prodotti finali del lavoro (più o meno corrispondenti a quello che la pubblicità vorrebbe farci credere). Quando la responsabilità non si estende agli effetti delle nostre azioni, ma si restringe alla semplice osservanza degli ordini che ci provengono dagli apparati di appartenenza, allora, come recita il titolo di Gunther Anders, siamo tutti 'figli di Eichmann' e come tali subiamo quello che Philip Zimbardo chiama: 'L'effetto Lucifero', dove persone per bene, per effetto del 'sistema di appartenenza' o per le 'situazioni' in cui ci veniamo a trovare, diventiamo, indipendentemente dalla nostra indole, degli oggettivi criminali, capaci di compiere quelle azioni che, fuori dal sistema di appartenenza o dalla situazione concreta, ci farebbero inorridire. [...] A questo punto vale ancora la contrapposizione tra il bene e il male? E davvero noi possiamo dividerci in buoni e cattivi? O, come sostiene Zimbardo, la nostra ferocia non è tanto da attribuire alla nostra indole, quanto piuttosto al sistema di appartenenza e alla situazione concreta in cui ci si trova a operare? Se così è, vero eroe non è chi compie le azioni più rischiose o pù feroci che i posteri magnificheranno, ma chi sa resistere al sistema di appartenenza o alla situazione concreta che gli chiedono quelle azioni. L'avvertimento di Zimbardo è ovviamente rivolto a tutti noi che, in un modo o nell'altro, sempre ci troviamo in qualche sistema di appartenenza o in qualche situazione che ci chiede di scegliere se stare o non stare al gioco." (da Umberto Galimberti, Cattivi si diventa. Siamo tutti figli di Eichmann?, "La Repubblica", 12/03/'08)

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