martedì 4 marzo 2008

Note su Hiroshima di Kenzaburo Oe

"Questo libro è dedicato alla memoria degli hibakusha 'coloro che non si suicidarono nonostante avessero tutte le ragioni per farlo; che hanno salvato la dignità umana in mezzo alle più orrende condizioni mai sofferte dall'umanità'"

"Kenzaburo Oe è un grande scrittore giapponese sventurato-fortunato nella vita: quando scriveva il libro del quale fra poco dirò, ebbe il suo primo figlio, un maschio, che nacque con una grave malformazione al cranio. Per il padre e la madre fu la disperazione. Ma non si rassegnarono mai, e la loro dedizione è stata premiata: quel figlio è adesso un grande compositore. Ho sempre visto in questo segno del destino la condizione dell'uomo giapponese: il giapponese è segnato, è l'uomo che nasce dov'è scoppiata la bomba. Ha fatto i conti con la bomba, rifà i conti tutti i giorni. Ci precede, ci rappresenta. Perciò ascoltiamolo. Io, Kenzaburo Oe l'ho sempre ascoltato con attenzione. Ci ho visto una confidenza col suicidio che noi europei ignoriamo. Una separatezza storica che diventa solitudine esistenziale. Ho amato i suoi personaggi che non sai mai cosa possano fare da un momento all'altro, sono guidati da una nevrosi umana che è la proiezione in terra della nevrosi di chi sta sopra gli umani. Kenzaburo Oe è uno dei grandi scrittori stranieri che son fiero di aver fatto tradurre in Italia, da Garzanti. Gli altri sono George Steiner, Pascal Quignard, Michel Tournier. Mi fa piacere che Steiner venga approvato dai critici ad ogni nuovo libro. Mi fa soffrire che Oe trovi ogni tanto qualche ostilità. Gli autori che introduci nella tua lingua li senti come ospiti, e tu sei l'ospitante. Dopo tre anni che lo feci tradurre in Italia, ebbe il premio Nobel (1994), e l'ostilità cominciò su questo giornale, da parte di due scrittori che stimo molto, Fruttero e Lucentini. Dissero, in sostanza: 'Un Nobel piccolo'. Quest'ultimo libro, Note su Hiroshima (Alet), che lui scrisse tra i venticinque e i trent'anni, ha avuto un giudizio icastico e feroce pochi giorni fa, da un altro critico che stimo e che mi piace, Antonio D'Orrico: 'La montagna ha partorito un topolino'. Con apprensione, mi metto a scrutare il topolino. E' una serie di visite a Hiroshima, e di studi su che cos'è Hiroshima. Ma ecco il problema: che cos'è per chi? Noi ci aspettiamo: per noi europei. Ci aspettiamo sempre di essere i destinatari di tutto ciò che si scrive nel mondo. E invece no, questo è uno scrittore giapponese (se ne vanta) che scrive per i giapponesi. I giapponesi, più ci si avvicina a Hiroshima, più hanno un'idea locale di Hiroshima. Assurdo, per noi, pensare a Hiroshima come a un problema su cui si scontrano partito comunista giapponese e partito socialista giapponese: ma allora così era. Se un tg parlava di Hiroshima, diceva come andava la Marcia per la Pace, come si allestiva la Conferenza Mondiale, cosa proponeva l'Associazione dei sopravvissuti. E di questo parla Kenzaburo Oe. E' una serie di riflessioni sulla massima tragedia giapponese scritte da un giapponese per un mensile giapponese, e poi raccolte in libro per l'umanità (a questa traduzione italiana Oe mette una prefazione che è del 2007). C'è in Oe un orgoglio di non essere europeo che è l'orgoglio di non essere cristiano, che è l'orgoglio di vedere sempre aperta davanti a sé la strada del suicidio, che è un atto di libertà e non un peccato. La condizione migliore è vivere col suicidio a
portata di mano. Il suicidio è un gesto ammirevole. Vergognoso è quando fallisce: c'è un vecchio, qui, che tenta un harakiri ma il coltello è troppo corto e l'addome si straccia ma non si apre, e poi tenta di squarciarsi la gola ma la mano è debole: si vergogna del fallimento, non dell'atto. La bomba ricopre la pelle dei sopravvissuti di cheloidi, anche decenni dopo l'esplosione. Anche la pelle di chi non era nato ma era ancora nel ventre della madre. Quando scoppiò la bomba, quelli che eran lontani videro cose assurde, le carpe nuotare nel lago tra i cadaveri, rondini cadere dal cielo con le ali incenerite e correre via saltellando, soldati dritti in piedi nel saluto militare che, toccati, si sbriciolavano ... La fine del mondo. Nel Medioevo la fine del mondo era la peste, dopo la quale però intravedevi un Dio che poteva far rinascere l'umanità. Il diluvio atomico non concede questa speranza. L'umanità colpita muta geneticamente, genera mostri, infonde lo spavento che sia arrivata la fine dell'uomo biologico conosciuto finora. Dove non è cancellazione è mutazione del genere umano. Viene un nuovo mondo che sta oltre l'umano. Questo è il primo libro inviato dal di là." (Ferdinando Camon, Non c'è dio dopo Hiroshima, "TuttoLibri", "La Stampa", 01/03/'08)

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