mercoledì 27 gennaio 2010

La poesia e i numeri


"Siamo in una strada dell'antica Grecia, quando un viandante si imbatte in una tomba. La scena è raccontata in una poesia di Alceo di Messene, autore vissuto tra il III e il II secolo a. C. Genere letterario fra i più noti, l'arte delle epigrafi conosce infinite varianti, ma la storia che segue riserva una sorpresa, e fa pensare piuttosto alla tradizione, altrettanto longeva, degli indovinelli. Infatti il nostro eroe, fermatosi a guardare, non trova scritto nulla, salvo una cifra: 'Io mi domando perché, sulla pietra che c'è lungo la via, / non c'è altro che un fi, che lo scalpellino incise due volte'. In greco, fi significa 'cinquecento', il che porta il passante a ipotizzare che la donna sepolta si chiamasse Chiliade, ovvero mille, equivalente a due volte cinquecento. Ma c'è una congettura più attendibile: probabilmente, spiega Alceo, chi sta nella tomba si chiamò Fidìs, cioè 'due volte fi'. L'esultanza per la soluzione trovata fa esplodere la voce narrante in un grido di gioia: 'Ho risolto come Edipo il rebus della Sfinge. / Lode sia data a chi trasse da duplice segno l'enigma - / luce agli astuti, agli imbecilli il buio'. Eccoci di fronte a uno strano e significativo esempio dell'incontro fra numeri e poesia. In questi versi, lo scambio fra i due tipi di codice viene infatti portato alle estreme conseguenze: la scrittura 'alfabetica' tende ad annettere al proprio interno elementi desunti da quella 'matematica', al punto che una cifra finisce per essere interpretata alla stregua di un nome proprio, anzi, di due. Ma di chi è questo sepolcro? Chi vi è seppellito? Un uomo, una donna o un numero? Domande del genere sorgono spontanee di fronte al convegno organizzato dall'Associazione Sigismondo Malatesta con il titolo La poesia e i numeri (Roma, Castello di Torre in Pietra, 29-30 gennaio). Siamo ovviamente alle prese con un terreno vastissimo, che investe un campo già di per sé sconfinato come quello della numerologia. Quest'ultimo tipo di preoccupazioni, tuttavia, può essere messo da parte: qui non si tratterà di analizzare 'il mistico intervento del numero' di cui parla Dante nella Vita Nuova, né di esaminare la vertigine delle cifre in Petrarca (il quale, secondo lo studioso tedesco Wilhelm Potters, avrebbe addirittura alluso al pi greco attraverso l'immagine di Laura). Nulla di tutto questo. Scopo dell'incontro sarà piutosto quello di studiare, nelle sue diverse, forme, l'attrazione della scrittura verso il numero, in quella assimilazione della cifra all'interno del dettato poetico corrispondente a un'estetizzazione del linguaggio matematico. Perché la domanda, in effetti, attraversa oltre due millenni di letteratura, dall'epoca classica a William Blake, da Novalis a Paul Valéry (con le sue ricerche sulla nozione di sezione aurea, o 'numero d'oro'), dal Raymond Queneau di Centomila miliardi di poesie (libro composto da dieci sonetti i cui rispettivi 14 versi, aventi le stesse rime e la stessa costruzione sintattica, possono essere combinati così da offrire il numero di poesie indicato nel titolo) al Leonardo Sinisgalli di Furor mathematicus, da Iosif Brodskij al Mago dei numeri (Einaudi) di Hans Magnus Enzensberger. [...]" (da Valerio Magrelli, Le equazioni della poesia, "La Repubblica", 26/01/'10)

Nessun commento: