mercoledì 27 gennaio 2010

Ascoltare la luce. Vita e pedagogia di Janusz Korczak


"Musica Kletzmer, la musica degli ebrei dell’Europa centro-orientale, ad accompagnare la storia di Janusz Korczak. Note allegre e tristi insieme, la colonna sonora di una tragedia che oggi, 27 gennaio, l’Italia e l’Europa ricordano solennemente, ma che di fronte alla biografia di un «eroe qualunque» come Korczak, si trasformano nel respiro sincopato di milioni di anime perse nel gorgo dell’Olocausto. Anime di un’Europa che non c’è più. Anime che chiedono di non essere dimenticate. Anime come quella dell’educatore ebreo-polacco che rivive nel bel saggio di Dario Arkel: Ascoltare la luce. Vita e pedagogia di Janusz Korczak (Atì editore). Alla Fondazione Minguzzi, Arkel, introdotto da Armando Torno, ricrea — almeno verbalmente — il fantastico mondo di Korczak, nome d’arte di Henryk Goldszmit, nato a Varsavia nel 1878. «Korczak — spiega Dario Arkel — aveva assunto il nome di un eroe dei libri di avventura per ragazzi di fine Ottocento». Celebre pediatra, collaboratore delle maggiori università e centri di ricerca d’Europa, il pedagogo polacco più noto della sua epoca si era inventato un modo per «parlare» ai bambini «con il linguaggio dei bambini». Non voleva essere un eroe. Voleva solo riuscire a dialogare con profitto «entrando», forse meglio dire «abbassandosi» al livello dei piccini. «C’era riuscito egregiamente — conferma Arkel — inventandosi una pedagogia all’avanguardia per intelligenza ed efficacia».
ORFANOTROFIO MODELLO - Il suo orfanotrofio era un modello. Poteva diventare qualcosa di più. Ma la barbarie nazista distrusse alla radice l’opera di Korczak. Nell’agosto 1942, quando arrivò l’ordine di deportazione, nel rifugio vivevano 203 bambini. Il pedagogo, per i suoi meriti e per la sua celebrità (aveva insegnato, lui che parlava il tedesco perfettamente. anche all’Università di Berlino), avrebbe potuto salvarsi. Per lui, solo per lui, era pronto un salvacondotto. Ma Korczak non esitò nemmeno un istante. «Una madre non abbandonerebbe mai suo figlio — disse a chi gli proponeva di fuggire —. Io non sono una madre: ma ho 203 figli e non li lascerò mai soli».
MITE MA NON PAVIDO - Korczak era un uomo mite, ma non era un pavido. Il suo unico pensiero, in quel tragico giorno, era rivolto ai «suoi» orfani, ad evitare loro traumi, la paura. Perciò li fece vestire con gli abiti migliori, il grembiule pulito, una sacca per la merenda: come se si preparassero a una gita. Poi scese in strada e diede ordine secchi, in tedesco, alle SS che avevano circondato il palazzo, manco fosse il nascondiglio di pericolosi partigiani: «Allontanate immediatamente i cani! I bambini hanno paura!». Gli orfani e Korczak marciarono fino all’uscita del Ghetto di Varsavia. Il 6 agosto 1942 arrivarono a Treblinka e lì si spensero le loro vite.
«NON VOLEVA SENTIR PIANGERE I BAMBINI» - Insieme a Korczak, ai suoi orfani, fu distrutta un’esperienza unica nel suo genere. L’orfanotrofio, infatti, era stato costruito come una sorta di «repubblica indipendente», spiega Dario Arkel, in cui ogni bambino aveva un ruolo: «C’era persino un tribunale, che serviva a far rispettare le leggi che gli orfani stessi scrivevano. Un giorno, Korczak finì dietro il banco degli accusati per essere processato: aveva alzato la voce con uno dei suoi piccoli». Talento multiforme, genio, letterato, autore di libri per l’infanzia, Janusz Korczak era un uomo semplice, non sarebbe mai diventato un eroe se gli eventi non avessero travolto il suo mondo, cancellandolo fino alle radici. Era una luce nel buio per i suoi bambini. «Non voleva sentirli piangere — conclude Arkel —. Sapeva che il tramonto era il momento più duro per loro». Per questo non li ha lasciati mai soli. Soprattutto quando il giorno si è fatto notte, per sempre." (da Paolo Salom, Korczak, «eroe qualunque» finito nel gorgo dell'Olocausto, "Corriere della Sera", 27/01/'10)

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