lunedì 4 luglio 2011

Politiche dell'irrealtà


"Il primo è stato Truman Capote, un capostipite contemporaneo. Il suo A sangue freddo (1966) è la prima fiction non-fiction, un modello insuperato di scrittura narrativa non più fondata sulla finzione.
Capote, che restò poi bruciato da questa esperienza, per l'intensità emotiva e per la ineguagliabile soluzione letteraria raggiunta, anni dopo, raccontando come aveva scritto il suo libro dedicato ai due efferati assassini, scriveva che lì «tutto era irreale perché troppo reale, come tendono a essere i riflessi della realtà».
Il rapporto tra letteratura e realtà è complesso, se non addirittura problematico, come aveva intuito lo scrittore americano o come, su un altro versante, poteva affermare Primo Levi per cui la vocazione letteraria faceva a pugni con la sua esigenza di testimone.
E il testimone non è solo colui che assiste agli avvenimenti, ma soprattutto chi li riferisce, come sottolinea all'inizio del suo saggio, Politiche dell’irrealtà, Arturo Mazzarella (Bollati Boringhieri).
Cosa sia oggi la realtà, e ancor di più il suo racconto, è assai problematico. A rendere incerto questo passaggio dagli avvenimenti al loro racconto (o descrizione o trasmissione fotografica) è il tema stesso della finzione che Mazzarella prende di petto nel suo libro.
Se con Guy Debord de La società dello spettacolo noi possiamo dire che «nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso», ci si impone, anche sulla scorta della lezione etica di Levi e degli altri testimoni-scrittori dei massacri del XX secolo, come Vasilij Grossman, il problema di restituire un luogo allaVerità, di ricavarlo dal susseguirsi dei fatti, e perciò di ritrovarla all'interno della loro narrazione, o rappresentazione.
Che cosa trasforma la non fiction in fiction, si chiede a un certo punto del suo ragionamento Mazzarella, che nella prima parte è un corpo a corpo con Gomorra?
Come il racconto divora la realtà stessa e ce la restituisce dilatata, alterata, aumentata, in una parola, straordinaria?
Tutti problemi che romanzi come Kaputt e La pelle di Malaparte
(ristampati di recente da Adelphi) avevano già posto dinanzi agli occhi del lettore, opere in cui la realtà non rinuncia alla letteratura, ma anche la letteratura non rinuncia alla realtà.
Capote che era un uomo attento allo «spettacolo», ovvero uno scrittore americano, aveva ben presente il problema della comunicazione di ciò che scriveva, sino al punto da includerlo nel suo scrivere stesso, quando affermava, ricapitolando le ragioni del suo romanzo non fiction: «Volevo presentare un romanzo giornalistico, qualcosa di ampio respiro che avesse la profondità del fatto reale, l'immediatezza del film, la profondità e la libertà della prosa e la precisione della poesia».
Mazzarella ha il merito di mettere bene in luce come la soggettività in questi scrittori della realtà deformi la conoscenza stessa sino al punto da divenire «il prodotto di una verifica operata dal soggetto», e perciò di accrescere la conoscenza.
Detto altrimenti, nell’opera di Saviano, come di Capote, c'è un «vero e proprio straripamento dell'io narrante». Il modello di Gomorra, come ha messo in luce Andrea Cortellessa, è senza dubbio Pasolini, l'ultimo Pasolini degli Scritti corsari.
Il problema della rappresentazione della realtà si pone a diversi livelli dal momento che nella medesima personalità sono compresenti lo scrittore ma anche il narratore e il protagonista.
Così è il caso di Gomorra, il libro più significativo degli ultimi anni, quello che mescola insieme letteratura e vita, «alla Pasolini»: in modo manierista.
La Verità, cui si richiama Mazzarella nel suo acuto saggio, diventa un terreno assai scivoloso proprio per il trionfo progressivo della finzione: oggi il reale copia la finzione; perciò la letteratura e il cinema sono costretti a copiare la finzione stessa del reale. Qual è il risultato?
Mazzarella indica un punto centrale della poetica di questi scrittori-di-realtà: l'opera funziona là dove la rete dei fatti presenta una smagliatura, dove si manifestano buchi evidenti.
Così è Anatomia di un istante di Javier Cercas (Guanda), una delle opere che sembrano aver risolto quei dilemmi che Mazzarella mette ben in luce, dandoci al tempo stesso uno dei lavori letterari più belli delle ultime stagioni." (da Marco Belpoliti, Da Capote a Saviano, la vita fa letteratura, "TuttoLibri", "La Stampa", 02/07/'11)

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