"Cimitero di Ferrara; un lungo corteo di camion dell'esercito arriva da Bergamo con le salme di cinquanta morti da cremare ... A un cenno del sindaco i camion si fermano e partono le note del "Silenzio" fuori ordinanza; nessun nome viene pronunciato, i morti sono solo bare, oggetti inanimati. Poi il trombettiere attacca con l'Inno di Mameli. Le musiche, i camion, i soldati tutto lascia pensare a un funerale di guerra, con una
spiccata connotazione militare. E i cinquanta morti si trovano ad essere involontari protagonisti di un
rituale che - nonostante la buona volontà del sindaco- non appartiene certo alle loro vite e soprattutto
non rende giustizia alle loro morti.
Sono morti in solitudine. [...] Solitudine nella morte, solitudine nell'ultimo addio. Il funerale inscenato del sindaco di Ferrara li ha
trasformati in caduti di guerra. Non lo erano. E avrebbero voluto morire in un altro modo.
Quando tutto sarà finito dovremo ricordarci di tutto questo. La morte, con i riti che la
accompagnano, è anche un'occasione per rinsaldare i legami sociali. Quelli familiari anzitutto. In
cerimonie pubbliche come quelle inventate a Ferrara, con la cancellazione delle singole morti
individuali e il loro precipitare in una anonima dimensione pubblica, entrano in crisi elementi
decisivi per l'elaborazione del lutto. Anche dopo la morte, infatti, la personalità del defunto rimane
simbolicamente viva, coagulando intorno al suo ricordo tensioni emotive a volte difficili da gestire:
i riti religiosi, con la carica evocativa dei loro gesti e delle loro parole, intervengono efficacemente
per sciogliere queste tensioni grazie a pratiche consolidatesi in tradizioni millenarie (pianti, grida,
discorsi, liturgie, musiche) e costruite come altrettante barriere protettive contro la violenza delle
emozioni. I processi di elaborazione del lutto, l'acquisizione della consapevolezza del legame
interrotto, la riformulazione delle relazioni sociali nei confronti di una persona che continua a
esistere nel ricordo dei viventi: tutto questo è stato brutalmente lacerato dalle morti di massa
scatenate dal corona virus. Siamo quindi debitori verso chi è morto in questi giorni e verso le loro
famiglie; dobbiamo a ognuno di essi quello di cui sono stati privati. Dovremo inventarci cerimonie
pubbliche che rimettano al centro le loro singole individualità, un ricordo che gli restituisca una
presenza significativa anche nelle nostre vite: serve a loro per ritrovare la dignità negatagli e serve a
noi per poter elaborare un lutto di cui oggi non siamo ancora pienamente consapevoli."
Giovanni De Luna su IBS
Giovanni De Luna su IBS
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