lunedì 7 maggio 2012

I primi tornarono a nuoto

"A volte ritornano. Anzi, rinascono. Succede così nel romanzo I primi tornarono a nuoto di Giacomo Papi (Einaudi), con un morto che ricompare, nudo, in un supermercato. Adriano, un medico che si trova lì per caso, lo porta all'ospedale e lo sottopone a degli esami. Presto si conosce la sua identità, e si scopre che Serafino Currò è morto molti anni prima. L'uomo che il medico osserva ha la stessa età di quando morì. Non ha più denti, ma come i bambini piccoli sta mettendo una dentatura di latte; ha sempre fame e non dorme mai. (Più tardi si saprà anche che questi morti ritornati alla vita sono sessualmente attivi, ma sterili, non possono procreare). Serafino è il primo di una legione di rinati che a intervalli regolari — circa quaranta giorni — ricompaiono in numero esponenziale. In tutto il mondo, da ogni epoca: c'è la ragazza vissuta nella tarda latinità, ci sono quelli che abitavano nella casa che ora è affittata da nuovi inquilini, c'è un ragazzino romano morto accoltellato nell'Ottocento. In Cina, addirittura, rinasce un giovane maschio vissuto 18 mila anni fa. All'inizio non fanno paura, i rinati sono sorpresi e spaesati, spesso non ritrovano più le loro case o i posti dove lavoravano, e quando c'è ancora qualcuno della loro famiglia, succede che figli o nipoti non li vogliono più. Poi però, quando crescono di numero e non trovano più cibo a sufficienza, cominciano a diventare aggressivi. Temono che i vivi sottraggano loro le risorse alimentari e allora cercano di impedire che nascano nuovi esseri umani: Maria, la compagna di Adriano, che aspetta un figlio ed è vicina al parto, si accorge presto di questa minaccia che monta. Intanto i rinati si coalizzano contro quanti vanno predicando la necessità di sterminare quelle strane creature, né morte né vive. Insomma, l'apocalisse è cominciata, l'antico divieto che impediva ai morti di tornare fra i vivi è caduto, il mondo si troverà progressivamente invaso da una sterminata quantità di defunti (110 miliardi da quando l'Homo sapiens cominciò dall'Africa la sua migrazione: sono queste le stime di studiosi riconfermate recentemente da un gruppo di ricercatori di Washington). Solo che non si tratta di zombie carnivori o di vampiri, sono persone come noi, magari con lo sguardo più acquoso e un colorito meno vivace, che mangiano in continuazione e non dormono mai. «Questo romanzo nasce dall'insonnia» racconta Giacomo Papi, 45 anni, scrittore, già direttore editoriale di Isbn, ora consulente per Einaudi Stile libero nonché collaboratore di Fabio Fazio per Che tempo che fa. «Era una notte d'inverno, a Milano, quattro anni fa. Ero uscito sul terrazzo a fumare (allora fumavo ancora), guardavo la nebbia e cominciai a pensare. L'insonnia è una maledizione, ma è anche un grande aiuto per chi fa un lavoro creativo. È in quelle ore che si affacciano le idee e prendono forma. Così, quella notte, pensai a un viaggio all'incontrario di quello fatto da Dante: lui, vivo, andava nel regno dei morti, io immaginai invece che i morti tornassero fra i vivi. Andai a letto e in mezz'ora avevo già in mente la storia completa. Nei giorni successivi cominciai a scrivere, e la prima stesura fu pronta in breve tempo. Era il doppio di quella che esce ora in libro, ho tolto il superfluo, ma il finale era lo stesso e la trama uguale». Esce ora, il romanzo, in questo 2012 abitato da cupe inquietudini dettate dalla spaventosa crisi economica, dal recente disastro di Fukushima, dalle guerre striscianti. E, come se non bastasse, c'è anche la profezia dei Maya, quella che prevede che il mondo finirà il 21 dicembre. C'è ormai un florido filone apocalittico che va da Cormac McCarthy, La strada, a Glenn Cooper, La biblioteca dei morti, a Tullio Avoledo e Davide Boosta Dileo, Un buon posto per morire, senza contare i film in stile Armageddon. Insomma, un buon momento per andare in libreria. «Anche, perché no? Ma il libro era nato molto prima. Certo, nello scriverlo, ho giocato con certi stilemi del cinema americano, ho tenuto presenti i romanzi di genere che trattano temi come la fine del mondo, i morti viventi. M'interessava molto la sintassi del racconto, i cambi di scena, un montaggio quasi cinematografico. Volevo costruire un racconto che trattenesse l'attenzione del lettore, e intanto desse spazio a dei temi di riflessione. Per esempio al fatto che, se il ritorno dei morti appare giustamente inspiegabile, anche la vita lo è: perché si nasce, che senso ha l'esistenza che ci è toccata e che inevitabilmente ci conduce alla morte? Insomma, volevo mostrare che la linea di separazione tra vita e morte non è poi così sicura, che il confine tra nascere e marcire, tra bene e male, è molto labile. Del resto, è il rapporto con i morti che pone le basi della civiltà, Foscolo lo aveva capito bene». Ha seguito dei modelli per I primi tornarono a nuoto? «Non credo di aver tenuto presenti dei modelli nello scrivere il romanzo. Certo, un film mi ha segnato molto: è Blade Runner di Ridley Scott, che unisce un meccanismo narrativo perfetto a un contenuto quasi filosofico». Nella rubrica «Cose che non vanno più di moda», che tiene su «D» di «Repubblica», lei denuncia l'invadente narcisismo degli autori italiani di oggi: «Non c'è praticamente nuovo scrittore italiano che non parli di sé». E, in un'altra puntata, dando la parola ai personaggi dei romanzi che vedono minacciato il loro ruolo e il loro lavoro, fa dire a Lucia Mondella: «Fino a pochi anni fa, il mestiere dello scrittore era inventare storie e personaggi. Oggi parlano solo di se stessi». «Sono realmente stufo della letteratura italiana di oggi, senza fantasia, dove non si inventa più niente, né storie né personaggi. In Italia, i libri che escono vengono catalogati così: ci sono quelli che raccontano storie e perciò vengono definiti di intrattenimento, quindi di genere; dall'altro lato ci sono quelli che si propongono come testimonianza, portano in primo piano l'io dell'autore che parla solo di sé. E nessuno sembra accorgersi che così la letteratura diventa una sorta di gossip generalizzato. Credo invece che la letteratura debba inventare storie, miti, attraverso i quali i lettori arrivano a confrontarsi con temi, domande: perché viviamo, perché amiamo?»." (da Ranieri Polese, L'invasione dei morti rinati. Né vampiri né zombie, ma insonni e sempre affamati, "Corriere della Sera", 16/04/'12) Senza fine ("La Republica")

1 commento:

nemesi ha detto...

cercavo un motivo per comprare questo libro, ora l'ho trovato