venerdì 29 aprile 2011

Pavese e Fenoglio alla guerra civile


"Cercando nella nostra narrativa riferimenti alti alla storia della Resistenza caschiamo inevitabilmente sui nomi di Pavese e di Fenoglio (senza dimenticare
con questo il Calvino del Sentiero dei nidi di ragno e il troppo trascurato Cassola di Fausto e Anna). Siamo attratti dalla contiguità geografica ed etnica dei due scrittori, che non fa velo tuttavia a una netta divaricazione stilistica e morale. In fondo il tratto che più li accomuna è la consapevolezza, affermata a chiare lettere prima della tardiva pronuncia degli storici, che la guerra di liberazione è stata anche una guerra civile. E Fenoglio, che pure lesse Pavese e tradusse dall’inglese due delle sue ultime poesie, non mostra di averne apprezzato la narrativa d’impronta resistenziale. Mi riferisco ovviamente a La casa in collina e La luna e i falò.
Nel primo romanzo Corrado, l’alter ego dello scrittore, confessa la sua inettitudine, venata di rimorso, davanti alla scelta degli operai conosciuti in una osteria della collina torinese, di Cate e dello stesso figlioletto che dopo l’8 Settembre si danno alla macchia. Soltanto dopo la sua vana fuga verso le colline natie, in un cammino costellato di incendi e massacri, dopo avere letteralmente «scavalcato il sangue», comprende quanto fosse illusoria la sua speranza di una individuale salvezza.
Ma la sua condizione di spettatore non gli impedisce di rappresentare in controluce, attraverso la sua stessa assenza, il movimento partigiano, con pertinenti notazioni sui contrasti politici che si manifestano fin dall’inizio al suo interno.
Ne La luna e i falò manca una cronologica presa diretta. Troviamo infatti la Resistenza nelle rievocazioni di Nuto a beneficio di Anguilla che, nell’immediato
dopoguerra, è tornato al paese dall’America in cui era emigrato. Nei soprassalti della memoria affiorano così storie di combattimenti e rappresaglie, di spiate e fucilazioni. Va osservato che neanche Nuto, per quanto solidale con i ribelli o patrioti, ha partecipato alla Resistenza: è stato come Corrado un testimone inerme. D’altronde le sollecitazioni dell’amico a smuovere il sanguinoso passato sono dettate soprattutto dal desiderio di essere informato sul disfacimento subito dalla cascina della Mora, in particolare sulla sorte dell’irrequieta Santina. Nel romanzo la Resistenza c’è, anche nelle frustrazioni del dopo, nelle speranze tradite, ma vista di scorcio, nell’assenza dei protagonisti, come occasione mancata.
Altro contegno e altra aria nei romanzi e racconti di Beppe Fenoglio. A partire dagli Appunti partigiani fino al grande cantiere rappresentato dal Partigiano Johnny e alle pagine ultime di Una questione privata, la Resistenza diventa il tema centrale, direi definitivo, della narrativa fenogliana, la scommessa della sua vita. Il combattente che è stato Beppe non ignora nessuno dei suoi aspetti, la tenerezza dell’amicizia e la spietatezza vendicativa, la fragilità e lo stoicismo, la viltà e l’eroismo. Ettore accanto a Tersite, in una prosa di epico respiro.
Ci sono gli odori dei bivacchi, il calore di un precario rifugio contadino, le stagioni insidiose per gelo e per nebbia, la stretta di una natura materna e matrigna, gli agguati e le fughe, scavallando colline e sprofondando nei rivi ...
Nessuno, Calvino dixit, ha saputo dare della guerra partigiana una rappresentazione così completa e così vera. Con tutte le implicazioni di carattere storico e morale che animeranno dibattiti fino ai nostri giorni.
Per i suoi portavoce, Johnny e Milton, ma anche per tanti più umili e meno consapevoli gregari, la posta in gioco è la dignità dell’uomo, mortificata dall’oppressione e dalla menzogna. Certo, in Fenoglio, c’è qualcosa di più, la Resistenza assume un significato simbolico quasi sacrale. Egli si trova in piena sintonia con il suo Johnny che ha dismesso brevemente la divisa: «... si sentiva come
può sentirsi un prete cattolico in borghese od un militare in borghese: le armi razionalmente celate sotto il vestito, il segno era sempre su lui: partigiano in aeternum». Ed è significativo che nei suoi partigiani l’odio per i fascisti sopravanzi quello per i tedeschi.
Perché i fascisti fanno parte di noi, appartengono alla «guerra civile» che può insorgere all’interno della nostra anima corrompendola.
La Resistenza come gran teatro che chiama a raccolta tutte le virtù dell’uomo. Un evento al quale Fenoglio rende un superbo omaggio promuovendolo, al di là delle strette circostanze storiche, a lezione perenne." (da Lorenzo Mondo, Pavese e Fenoglio alla guerra civile, "TuttoLibri", "La Stampa", 23/04/'11)

Nessun commento: