sabato 9 aprile 2011

Avevo mille vite e ne ho preso una sola


"Mille vite a disposizione e una sola vissuta, mille vite descritte, raccontate, o piuttosto una sola riflessa nei frammenti di uno specchio rotto: mi piace pensare che l’antologia (Iperborea) che Safranski, filosofo e critico tedesco, dedica all’amico Nooteboom si incardini in questa riflessione, oltre ad essere l’omaggio singolare di un lettore di grande sensibilità e acutezza interpretativa.
A ben vedere forse non sarebbe necessario un libro simile, se non come sottolineatura di quanto un peculiare lettore ha trovato e condiviso nelle parole di un autore.
Mi viene in mente l’atto, per me e credo per molti abituale, di leggere con una matita alla mano che evidenzi quei punti su cui tornare, ma soprattutto quei momenti di emozionante intesa con la parola scritta, che corrispondono all’accordo con un amico, allo scambio di vedute che rivela il piacere di un’intesa comune.
Così a volte la rilettura di un libro diventa un percorso a salti tra righe amate e segnate con quel tratto di matita che dice più di qualunque commento.
Safranski ci offre la sua peculiare sottolineatura intorno a Nooteboom percorrendo prima i piccoli passi aforistici, estrapolazioni rapide da contesti più vasti, raccolti nel capitolo Lampi di genio, e sono forse i più impulsivi e sentimentali. Mentre hanno rilievo maggiore e si collocano con compiuta autonomia le pagine estese raccolte per tema.
E i temi in Nooteboom percorrono una direttrice che, pur tra tante deviazioni, non fa perdere mai la traccia di sé: il luogo comune è il viaggio, che ha cento mete geografiche e ancora più ne ha di interiori, che corre sulle strade della terra e però affonda nella mente e nella carne dello scrittore, di per sé contaminato dal senso dell’andare a cercare un altrove da sé nei personaggi. A questo proposito è significativo il capitolo che ha per tema appunto Scrivere: non più il colpo d’occhio, ma l’elaborazione intorno a una passione che, quando non è mestiere, porta con sé la maledizione di una stregoneria: una volta varcata la soglia della scrittura, non si torna più indietro.
Così sembra essere stato di Nooteboom, ci dice Safranski nell’introduzione, dopo il romanzo giovanile Philip e gli altri, che è appunto una storia di vagabondaggio.
Quel prendere e andare senza meta, individuando la meta per via, o facendo della via una meta, è il modo di tanta narrazione di Nooteboom, che per contro presenta al lettore un impianto solido, anche quando il rapportocon le parole è ironico, o quando oltre l’ironia tocca la disillusione. Viandante o pellegrino potrebbe essere la definizione che gli attaglia e, per conto mio, tenderei a riconoscergli piuttosto
la seconda, perché il pellegrinaggio comporta una sorta di fede in una pur remota meta. Nelle domande senza risposta, nei dubbi e nelle amarezze di tante opere di Nooteboom un’idea peculiare di fede o quanto meno la fedeltà a un’idea non manca mai.
E’ l’ansia della ricerca, il passo ostinato che ha mosso le tante quote del mondo medievale e continua a agitare e sollecitare chi ha ancora voglia di cercare e pensa che la cosa cercata valga la pena del cammino. Per quanti aerei abbia preso Nooteboom, e treni e passaggi in auto, la sensazione nel suo lettore è che comunque viaggi con l’essenziale mezzo della scrittura. Che è anche il suo bagaglio leggero." (da Marta Morazzoni, Un pellegrino sull’ippogrifo della Scrittura, "TuttoLibri", "La Stampa", 09/04/'11)

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