venerdì 29 aprile 2011

La biblioteca degli scrittori


"Chiedersi come sia la biblioteca di uno scrittore è come immaginare che cosa mangia un cuoco o come si senta un regista quando va al cinema. C'è un rapporto diverso tra la libreria e il suo possessore quando, in altre stanze, altre case, la sua opera può farne parte. La relazione varia nel tempo e a seconda della personalità. Qui se ne traccia un profilo basato sulla conoscenza di alcuni casi specifici e sull' esperienza personale. Lo scrittore bambino ancora non sa quel che diventerà, ma sa quel che ama: i libri. Quegli sconosciuti ritratti in terza di copertina sono il balsamo della sua solitudine, le voci che riempiono il vuoto delle sue giornate, il succedaneo di genitori assenti e amici inesistenti. È con gratitudine che raduna nel piccolo spazio sotto il comodino o nel primo scaffale della sua vita Emilio Salgari, Jack London o (in caso di futura scrittrice) Emily Brontë. Con il tempo il pantheon degli eroi si allarga e si ispessisce. In mezzo ai libri vengono infilati fogli (gli scrittori da giovani non sottolineano e non annotano a pie' di pagina per rispetto dei futuri colleghi). Contengono brevi recensioni, ma soprattutto segnalazioni: incipit ficcanti, geniali snodi di trama, usi innovativi del dialogo. E frasi: frasi che restano, pennellate perfette, possibili esergo a venire. Hemingway, Miller, Auster si succedono negli anni e trovano comparti dedicati. Giacché lo scrittore che verrà non commette l'errore imperdonabile di disporre per ordine alfabetico o (orrore massimo) per casa editrice. Lui (o lei) ha letto in almeno quattro testi le considerazioni ironiche sulle biblioteche altrui che hanno in prima linea i soldatini pastello dell'Adelphi. E allora, piuttosto, la suddivisione del sapere, dell'intenditore: qui gli americani, là i mitteleuropei. O invece: da un lato i classici, dall'altro i contemporanei. E se fosse più sottile di così? Drammatici, umoristici. Faction, fiction. Bisogna prendere le due pagine di infografica di un noto settimanale e rispettarne la ricostruzione del panorama letterario mondiale? Che importa? Sono comunque tutti degni di ammirazione. Fino al giorno in cui avviene il miracolo: l'esordio. A quel punto nasce il problema dei problemi: dove collocare il proprio libro. Se solo si potesse tornare all'inaccettabile ordine alfabetico: finirebbe a fianco (metti caso) di Rushdie. Per editore, oddio: con tutti quei gran nomi (ma anche quelle meteore, hai visto mai che contagiano). Forse meglio in solitudine, non troppo esibita. Intanto la biblioteca continua a crescere, ma è oggetto di un diverso sguardo. La soggezione si muta in invidia. La reverenza in insofferenza. Si rispettano gli autori defunti, quelli molto lontani, un po' meno i vicini di collana, quelli incontrati nello stesso festival letterario o quelli che per vederli in classifica tocca alzare lo sguardo. Nel romanzo L'informazione Martin Amis descriveva perfettamente il rapporto tra scrittori e la corrente di odio che può scorrere. Lui stesso non deve certo riservare un posto d'onore nella biblioteca ad alcuni contemporanei inglesi. Nel presunto segreto di una cena tra amici, i funzionari di una casa editrice raccontano di autori bizzosi che pretendono di non avere nella stessa pagina di catalogo colleghi che disistimano (o da cui si sentono minacciati?). Figurarsi dove li posizionano nella loro libreria. La biblioteca dello scrittore è immensa, per definizione e necessità. È esibita, mai in una stanza laterale. Sta in sala, non nello studio, salvo che lo studio sia più grande della sala. Se è defilata è per understatement o per morettiana speranza che si noti di più in quanto appartata, che la sua parca scelta sia considerato indice di raffinatezza. E adesso, nell'era digitale? Ora che il kindle o l'i-Pad possono contenere tutto Borges e tutta la biblioteca di Borges? È possibile accettare di ridurre quella ostensione di cultura, ma anche quel visibile percorso di vita, a una sottiletta d'acciaio deposta sulla scrivania? La risposta dipende dall'esperienza, dal rapporto che si ha con i luoghi, le case e le cose. Chi, come me, ha cambiato qualche decina di residenze, riallineato infinite volte Bukowsky e Busi, ricomprato almeno tre volte gli stessi trenta libri, ha infine accettato l'idea che perdere è conservare quel che conta. Un giorno smarrirò anche il tablet e quel che resterà della biblioteca sarà quel che resta della vita: memorabili sensazioni, personaggi, sorprese e belle parole nel buio." (da Gabriele Romagnoli, La biblioteca degli scrittori, "La Repubblica", 23/04/'11)

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