Biblioteca di Garlasco
Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
mercoledì 6 aprile 2022
lunedì 17 maggio 2021
mercoledì 7 aprile 2021
giovedì 25 marzo 2021
giovedì 4 febbraio 2021
La Biblioteca Braidense acquisisce la biblioteca di libri antichi di Eco
La Biblioteca Braidense acquisisce la Biblioteca di libri antichi di Umberto Eco
La Biblioteca Braidense si arricchisce di una nuova importantissima acquisizione: la collezione della Biblioteca di libri antichi di Umberto Eco.
A seguito della procedura avviata tra la Biblioteca Braidense e gli eredi di Umberto Eco nel 2018, con la registrazione del provvedimento da parte della Corte dei Conti si è concluso infatti in questi giorni l’iter, iniziato nel 2017, di acquisizione della Biblioteca di libri antichi denominata “Bibliotheca semiologica curiosa, lunatica, magica et pneumatica” formata da Umberto Eco nel corso della sua attività di bibliofilo.
La collezione antica che conta circa 1.200 edizioni anteriori al Novecento, un patrimonio che comprende 36 incunaboli e 380 volumi stampati tra il XVI e il XIX secolo sarà custodita dalla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, la Biblioteca Statale che ne garantirà la conservazione, la valorizzazione e la fruizione a studenti e studiosi. Un comitato scientifico formato da cinque membri, di cui due nominati dagli Eredi Eco e due dal Mibact, si occuperà di stabilire le modalità di conservazione anche al fine di garantirne l’unitarietà della consultazione digitale.
In un labirinto di libri: con Umberto Eco nella sua biblioteca
Milano, alla Braidense la collezione di libri antichi di Umberto Eco
La Biblioteca di Umberto Eco all'Universita' di Bologna. A Milano i libri antichi
mercoledì 9 dicembre 2020
Il regalo di Mino Milani nel giorno di San Siro
Da Giacomo Airoldi, Il regalo di Mino Milani nel giorno di San Siro, "Corriere della sera", 06/12/2020
Mariuccia e una questione di rose - Effigie
Il Natale salvato dai libri
Manguel su IBS
lunedì 7 dicembre 2020
"La biblioteca di mezzanotte" di Matt Haig
Matt Haig, La biblioteca di mezzanotte - Edizioni e/o
sabato 7 novembre 2020
COVID-19 Nuove disposizioni urgenti
A seguito del DPCM 3 novembre 2020 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale)
da 06/11 a 03/12/2020
“sono sospesi le mostre e i servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.
venerdì 24 luglio 2020
SMARTOPAC, l'APP per consultare il catalogo unico pavese
SmartOpac è la una nuova App che offre nuove opportunità per gli utenti interessati a consultare il Catalogo unico pavese, con tutti i vantaggi derivanti dall’utilizzo di dispositivi mobili come smartphone e tablet.
Oltre alle tradizionali modalità è possibile avviare una ricerca utilizzando la fotocamera del proprio dispositivo e inquadrando il codice a barre presente sulla copertina dei libri.
Effettuata una ricerca, è possibile geolocalizzare la biblioteca che possiede il documento, attivando le funzionalità offerte da Google Maps.
Grazie a SmartOpac gli utenti iscritti a una biblioteca, dopo essersi identificati con username e password, con un clic, possono prenotare il materiale facilmente e rapidamente.
Ti capisco perche' leggo. Alcuni tipi di narrativa (non tutta) aiutano molto a comprendere i meccanismi mentali degli altri
da Danilo Di Diodoro, Ti capisco perche' leggo. Alcuni tipi di narrativa (non tutta) aiutano molto a comprendere i meccanismi mentali degli altri, Corriere della sera - Corriere salute, 23/07/2020
"[...] 'La capacita' narrativa, la creazione di storie, e' molto piu' antica dell'invenzione della scrittura' dice Emanuele Castano del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell'Universita' di Trento, autore di ricerche in questo ambito. 'La psicologia evoluzionista considera le storie raccontate attorno al fuoco dai nostri antenati come un'attivita' che ha permesso l'evoluzione della mente umana. In un certo senso, sono proprio le storie che ci hanno reso umani, dato che trasmettono significati e informazioni importanti per la vita sociale. [...] Un nostro studio pubblicato sulla rivista Science mostra come diversi tipi di storie influenzino i modi in cui pensiamo. I romanzi "letterari" ad esempio aumentano la nostra capacita' di leggere la mente altrui, cio' che nelle scienze cognitive chiamiamo teoria della mente. [...]"
venerdì 15 maggio 2020
Storie di libri gatti e cani
(da Maria Grazia Ligato, Storie di libri gatti e cani, "IoDonna", 09/05/2020)
"Quattro zampe e due mani. Le prime a rincorrere gomitoli di lana e riportare bastoncini di legno, le altre a fissare i pensieri su carta e tastiera. Tra scrittori e animali da compagnia è una lunga storia d'amore, una corrispondenza di amorosi sensi nelle faticose giornate alla scrivania: in tanti affermano di non poter lavorare senza un devoto compagno in veste (pelo) di musa.
Di solito nei pets si circoscrivono cani e gatti, ferme restando vistose eccezioni, come i pavoni di Flannery O'Connor o il corvo domestico di Charles Dickens. E così se Lord Byron adotta un cane Terranova e Anton Checov due bassotti, avevano cani Virginia Woolf e Jacques Prevert. La lista è lunga, chi non li aveva li inventava: Arthur Conan Doyle ha creato Toby per il suo investigatore Sherlock Holmes e a voler uscire un po' dai margini, il regista George Lucas ha chiamato il suo indimenticabile protagonista Indiana (Jones) come il suo cane. Per non parlare del gatto 'capolavoro della natura' secondo Leonardo, fascinosa tigre in miniatura prediletta dagli scrittori, da Doris Lessing a Colette, da Baudelaire a Ernest Hemingway, fino a Murakami Haruki che ha 'scritto il primo romanzo di notte, con il gatto sulle ginocchia e sorseggiando birra'.
Ma non sempre cane e gatto sono stati sul podio degli animali da compagnia. Nell'antichità la scelta cadeva su altri quattrozampe. Antonella Prenner, storica e autrice di Tenebre (ritratto di un Cicerone molto intimo) aveva Klaus, pastore tedesco, che la aspettava sempre al cancello per scortarla fin dentro casa. 'Ho capito che non c'era più la sera che non è venuto a prendermi'. Prenner sta scrivendo un nuovo libro su Giulio Cesare (Rizzoli), grande condottiero (e scrittore) romano. 'Cesare aveva un cavallo e un cane che lo seguivano ovunque. Del cane si sa poco, del cavallo Svetonio racconta che era nato sotto auspici di grandezza e fierezza, destinato 'a colui che sarebbe diventato padrone del mondo'. In realtà Asturcone (un nome che fa subito Obelix) era tozzo e deforme con uno zoccolo storto, ma Cesare non voleva che lo cavalcasse nessuno, vivevano in simbiosi'. Quando c'è l'amore c'è tutto. [...]"
Di solito nei pets si circoscrivono cani e gatti, ferme restando vistose eccezioni, come i pavoni di Flannery O'Connor o il corvo domestico di Charles Dickens. E così se Lord Byron adotta un cane Terranova e Anton Checov due bassotti, avevano cani Virginia Woolf e Jacques Prevert. La lista è lunga, chi non li aveva li inventava: Arthur Conan Doyle ha creato Toby per il suo investigatore Sherlock Holmes e a voler uscire un po' dai margini, il regista George Lucas ha chiamato il suo indimenticabile protagonista Indiana (Jones) come il suo cane. Per non parlare del gatto 'capolavoro della natura' secondo Leonardo, fascinosa tigre in miniatura prediletta dagli scrittori, da Doris Lessing a Colette, da Baudelaire a Ernest Hemingway, fino a Murakami Haruki che ha 'scritto il primo romanzo di notte, con il gatto sulle ginocchia e sorseggiando birra'.
Ma non sempre cane e gatto sono stati sul podio degli animali da compagnia. Nell'antichità la scelta cadeva su altri quattrozampe. Antonella Prenner, storica e autrice di Tenebre (ritratto di un Cicerone molto intimo) aveva Klaus, pastore tedesco, che la aspettava sempre al cancello per scortarla fin dentro casa. 'Ho capito che non c'era più la sera che non è venuto a prendermi'. Prenner sta scrivendo un nuovo libro su Giulio Cesare (Rizzoli), grande condottiero (e scrittore) romano. 'Cesare aveva un cavallo e un cane che lo seguivano ovunque. Del cane si sa poco, del cavallo Svetonio racconta che era nato sotto auspici di grandezza e fierezza, destinato 'a colui che sarebbe diventato padrone del mondo'. In realtà Asturcone (un nome che fa subito Obelix) era tozzo e deforme con uno zoccolo storto, ma Cesare non voleva che lo cavalcasse nessuno, vivevano in simbiosi'. Quando c'è l'amore c'è tutto. [...]"
lunedì 11 maggio 2020
Ora salvare le biblioteche
(da Tomaso Montanari, Ora salvare le biblioteche, Il fatto quotidiano, 11/05/2020)
“Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. La celebre metafora scelta dall’Adriano di Marguerite Yourcenar è ancora forse la più potente, tra quelle immaginate nel secondo dopoguerra (le Memorie di Adriano escono nel 1951) per spiegare il nesso tra libri pubblici e futuro: le biblioteche come cibo comune contro la comune carestia spirituale […].
Potremmo domandarci se tra le cause del perdurare dell'inverno del nostro scontento che da decenni congela ed estingue la nostra comune umanità non ci sia anche la nostra incapacità di fare come Adriano: tanto più inescusabile quando si rammenti che a noi non era chiesto di fondare nuove biblioteche ma 'solo' di non far morire quelle che i nostri padri ci hanno lasciato come seme di futuro. Ebbene, in questi giorni lentamente riaprono le biblioteche italiane: dopo una chiusura che non ha sollevato i lamenti suscitati non dico da quella dei ristoranti, ma nemmeno da quella dei musei. Ma come li troviamo questi granai dello spirito, ora che possiamo vederli con occhi nuovi?
La risposta più consapevole (e dunque più preoccupata) viene da un bellissimo editoriale appena apparso sulla rivista "Culture del testo e del documento" (Vecchiarelli editore) firmato da Attilio Mauro Caproni già bibliotecario alla Nazionale di Roma, ordinario di Bibliografia e fondatore del primo dottorato italiano in Scienze bibliografiche a Udine. [...]
La morale è assai semplice: l'inverno inaspettato del Covid ci ha fatto capire che abbiamo bisogno di letti in terapia intensiva e di medici e infermieri assunti dallo Stato e ben pagati. E al tempo stesso anche di quei reparti di terapia intensiva che sono le biblioteche, dove l'ossigeno della conoscenza è offerto a tutti, anche chi a casa (quella casa che nel confinamento è diventata cifra e rappresentazione delle diseguaglianze mostruose che abbiamo creato) non ha libri, cioè appunto ossigeno. [...] Proprio questo è il punto: se le biblioteche muoiono non saremo né cittadini né italiani, ma sudditi senza storia e senza futuro. Vogliamo davvero ripartire? Allora ripartiamo dalle biblioteche."
“Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. La celebre metafora scelta dall’Adriano di Marguerite Yourcenar è ancora forse la più potente, tra quelle immaginate nel secondo dopoguerra (le Memorie di Adriano escono nel 1951) per spiegare il nesso tra libri pubblici e futuro: le biblioteche come cibo comune contro la comune carestia spirituale […].
Potremmo domandarci se tra le cause del perdurare dell'inverno del nostro scontento che da decenni congela ed estingue la nostra comune umanità non ci sia anche la nostra incapacità di fare come Adriano: tanto più inescusabile quando si rammenti che a noi non era chiesto di fondare nuove biblioteche ma 'solo' di non far morire quelle che i nostri padri ci hanno lasciato come seme di futuro. Ebbene, in questi giorni lentamente riaprono le biblioteche italiane: dopo una chiusura che non ha sollevato i lamenti suscitati non dico da quella dei ristoranti, ma nemmeno da quella dei musei. Ma come li troviamo questi granai dello spirito, ora che possiamo vederli con occhi nuovi?
La risposta più consapevole (e dunque più preoccupata) viene da un bellissimo editoriale appena apparso sulla rivista "Culture del testo e del documento" (Vecchiarelli editore) firmato da Attilio Mauro Caproni già bibliotecario alla Nazionale di Roma, ordinario di Bibliografia e fondatore del primo dottorato italiano in Scienze bibliografiche a Udine. [...]
La morale è assai semplice: l'inverno inaspettato del Covid ci ha fatto capire che abbiamo bisogno di letti in terapia intensiva e di medici e infermieri assunti dallo Stato e ben pagati. E al tempo stesso anche di quei reparti di terapia intensiva che sono le biblioteche, dove l'ossigeno della conoscenza è offerto a tutti, anche chi a casa (quella casa che nel confinamento è diventata cifra e rappresentazione delle diseguaglianze mostruose che abbiamo creato) non ha libri, cioè appunto ossigeno. [...] Proprio questo è il punto: se le biblioteche muoiono non saremo né cittadini né italiani, ma sudditi senza storia e senza futuro. Vogliamo davvero ripartire? Allora ripartiamo dalle biblioteche."
giovedì 30 aprile 2020
I musei illustrati. I siti storici italiani si animano in cinquantuno storie disegnate dai nostri migliori autori, che ora potete trovare gratis su Internet
(da Lara Crino', I musei illustrati, Robinson, 11/04/2020)
Fumetti nei musei
"Regna il silenzio tra l'erba che circonda i templi di Paestum. Restano in ombra le sale solitamente affollate degli Uffizi, di Capodimonte e degli altri musei grandi e piccoli che conservano i segni della nostra storia. Anche per loro vige il Lockdown ma non è detto che ci si debba dimenticare della bellezza. Anzi esistono modi di vederla con occhi nuovi. Il Graphic Novel è forse tra i meno consueti ma ha dimostrato di funzionare assai bene. Così fino al 10 maggio chi vorrà potrà farsi condurre alla scoperta di opere, storie, segreti dell'arte da accompagnatori inusuali, una squadra di fumettisti di prim'ordine che va da Altan a Tuono Pettinato, da Maicol & Mirco a LRNZ ad Alice Socal, da Vincenzo Filosa a Ratigher.
Aderendo alla campagna #ioleggoacasa infatti le edizioni Coconino Press e il Ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo hanno deciso di fare un regalo ai lettori: rendere disponibili online, gratuitamente e a rotazione le cinquantuno tappe della collana Fumetti nei musei, realizzata da Coconino Press e MiBACT per narrare con un linguaggio nuovo ciò che si nasconde fra le statue, le tele, le rovine antiche. [...] Rendere gli albi visibili online in questo momento a musei chiusi dà un senso ulteriore all'operazione [...]."
Fumetti nei musei
"Regna il silenzio tra l'erba che circonda i templi di Paestum. Restano in ombra le sale solitamente affollate degli Uffizi, di Capodimonte e degli altri musei grandi e piccoli che conservano i segni della nostra storia. Anche per loro vige il Lockdown ma non è detto che ci si debba dimenticare della bellezza. Anzi esistono modi di vederla con occhi nuovi. Il Graphic Novel è forse tra i meno consueti ma ha dimostrato di funzionare assai bene. Così fino al 10 maggio chi vorrà potrà farsi condurre alla scoperta di opere, storie, segreti dell'arte da accompagnatori inusuali, una squadra di fumettisti di prim'ordine che va da Altan a Tuono Pettinato, da Maicol & Mirco a LRNZ ad Alice Socal, da Vincenzo Filosa a Ratigher.
Aderendo alla campagna #ioleggoacasa infatti le edizioni Coconino Press e il Ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo hanno deciso di fare un regalo ai lettori: rendere disponibili online, gratuitamente e a rotazione le cinquantuno tappe della collana Fumetti nei musei, realizzata da Coconino Press e MiBACT per narrare con un linguaggio nuovo ciò che si nasconde fra le statue, le tele, le rovine antiche. [...] Rendere gli albi visibili online in questo momento a musei chiusi dà un senso ulteriore all'operazione [...]."
giovedì 23 aprile 2020
La peste di Albert Camus
"Nella città algerina di Orano la mattina del 16 aprile di un anno imprecisato, il dottor Bernard Rieux esce dal suo studio e inciampa in un sorcio morto sul pianerottolo. E' solo l'inizio, il primo segnale dell'insorgere dell'epidemia di peste narrata da Albert Camus nel suo celebre romanzo del 1947, che ora è un prezioso soggetto letterario per decifrare il momento drammatico che stiamo vivendo.
Nelle pagine iniziali de La peste i topi morti si moltiplicano in pochi giorni in modo enigmatico e vertiginoso e poco tempo dopo tocca anche all'uomo: febbre, vomito, bubboni e morte. L'evidenza non tarda a venire: 'I topi sono morti di peste o di qualcosa che le somiglia molto. Hanno messo in circolazione decine di migliaia di pulci che trasmettono il contagio secondo una proporzione geometrica, se non lo si ferma in tempo'.
Quando si comincia a parlare dell'epidemia e delle misure adeguate da prendere, durante una riunione di emergenza nella prefettura di Orano, i medici sono già in grado di riferire i risultati delle analisi: in seguito all'incisione dei bubboni il laboratorio crede di riconoscere il tozzo microbo della peste. [...]" (da Paolo Zellini, I confronti sulla peste e il senso di comunità, "Corriere della sera", 23/04/2020)
Albert Camus, La peste
mercoledì 22 aprile 2020
MEDIALIBRARYONLINE LA BIBLIOTECA DIGITALE QUOTIDIANA
MLOL è la prima rete italiana di biblioteche pubbliche, accademiche e scolastiche per il prestito digitale. Ad oggi le biblioteche aderenti sono oltre 6.000 in 20 regioni italiane e 10 paesi stranieri.Per utilizzare MediaLibraryOnLine è necessario essere iscritti a una delle biblioteche aderenti.
Attraverso il portale, si può consultare gratuitamente la collezione digitale della propria biblioteca: ebook, musica, film, giornali, banche dati, corsi di formazione online (e-learning), archivi di immagini e molto altro.
MediaLibraryOnLine permette alle biblioteche italiane di sperimentare il prestito digitale. Si può utilizzare il servizio di prestito da casa, dall'ufficio, dalla scuola e non sarà più necessario presentarsi fisicamente in biblioteca per vedere un film o ascoltare musica.
Non solo. Alcune tipologie, come audio e e-book, comprendono anche risorse in download che potrai scaricare e portare con te sul tuo dispositivo mobile.
Il Sistema Bibliotecario della Lomellina ha acquistato un nuovo servizio del Gruppo Mondadori aumentando così la disponibilità di titoli per il prestito digitale di libri:BUR: 9 titoli;
Piemme: 1.303 titoli;
Einaudi: 3.010 titoli;
Mondadori: 6.053 titoli;
Mondadori Libri Trade Electa: 257 titoli;
Rizzoli: 61 titoli;
Rizzoli libri: 3.940 titoli;
Sperling & Kupfer: 1.682.
La 'peste nera' nel Decameron
“Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti, e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richesto li quali giá hanno di conforto avuto mestiere ed hannol trovato in alcuni; tra li quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o giá ne ricevette piacere, io sono un di quegli. [...] Adunque, acciò che per me in parte s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sí come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno; in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago, il fuso e l’arcolaio; io intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle, piacevoli ed aspri casi d’amore ed altri fortunosi avvenimenti si vedranno cosí ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giá dette donne che quelle leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate ed utile consiglio potranno pigliare, e conoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Iddio che cosí sia, ad Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto di potere attendere a’ loro piaceri. [...]” (da Giovanni Boccaccio, Decameron)
Decameron (WikiSource)
martedì 21 aprile 2020
La peste del 1630 ne I Promessi sposi
“[...] La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia. Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella calamità; nel milanese, s’intende, anzi in Milano quasi esclusivamente: ché della città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo, come a un di presso accade sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni. E in questo racconto, il nostro fine non è, per dir la verità, soltanto di rappresentar lo stato delle cose nel quale verranno a trovarsi i nostri personaggi; ma di far conoscere insieme, per quanto si può in ristretto, e per quanto si può da noi, un tratto di storia patria più famoso che conosciuto. [...]” (da Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1840, cap. XXXI)
Peste del 1630 (Wikipedia)
martedì 14 aprile 2020
Coronavirus, la primatologa Jane Goodall: “La mancanza di rispetto per gli animali ha causato la pandemia”
«È il nostro disprezzo per la natura e la nostra mancanza di rispetto per gli animali con cui dovremmo condividere il pianeta che ha causato questa pandemia, qualcosa che era stata prevista molto tempo fa». Così Jane Goodall, primatologa britannica di fama mondiale e conosciuta per la sua ricerca pionieristica in Africa sulla vera natura degli scimpanzé, spiega la diffusione in tutto il mondo del coronavirus.
Durante una teleconferenza in vista dell'uscita del nuovo documentario del National Geographic “Jane Goodall: The Hope”, ha aggiunto: «Perché mentre distruggiamo, diciamo la foresta, le diverse specie di animali nella foresta sono costrette a venire in contatto fra di loro e quindi le malattie vengono trasmesse da una specie all’altra, e il secondo animale ha quindi maggiori probabilità di infettare gli esseri umani poiché è costretto a stare stretto contatto con noi».
Goodall punta il dico anche contro gli animali selvatici venduti nei mercati africani o asiatici, in particolare in Cina, «e nelle nostre fattorie intensive in cui raggruppiamo crudelmente miliardi di animali in tutto il mondo. Queste sono le condizioni che creano un’opportunità per i virus di saltare dagli animali attraverso la barriera delle specie verso l’uomo».
La primatologa plaude per la decisione della Cina di vietare la vendita e il consumo degli animali selvatici vivi, cosa che dovrebbe essere fatta anche in Africa dove però lei vede delle complessità in più: «Lì è più difficile smettere di vendere carne di animali cacciati perché sono molte le persone che si affidano a quello per il proprio sostentamento. È una decisione che avrà bisogno di un molte e attente considerazioni su come dovrebbe essere fatto: non puoi semplicemente impedire a qualcuno di fare qualcosa quando non hanno assolutamente soldi per sostenere se stessi o le loro famiglie, ma almeno questa pandemia dovrebbe averci insegnato il tipo di cose fare per impedirne un altro».
Nonostante la difficile battaglia che tutto il mondo sta combattendo per sconfiggere il virus, la primatologa britannica spera che diventi l’occasione per un importante insegnamento: «Dobbiamo renderci conto di essere parte del mondo naturale, dipendiamo da esso e, mentre lo distruggiamo, in realtà stiamo rubando il futuro ai nostri figli».
I blocchi che stanno avvenendo in tutto il mondo, possono spingere le persone a vivere la propria vita in modo diverso, facendo comprendere loro che «tutti possono avere un impatto ogni singolo giorno – spiega la Goodall – . Se pensi alle conseguenze delle piccole scelte che fai: ciò che mangi, da dove viene, ha causato crudeltà verso gli animali, è fatto da un'agricoltura intensiva - che per lo più lo è - è economico a causa dello schiavo bambino lavoro, ha danneggiato l'ambiente nella sua produzione, da dove viene, quante miglia ha percorso, hai pensato che forse potresti camminare e non prendere la tua auto».
Ciò che possiamo fare nella nostra vita individuale «dipende un po’ da chi siamo, ma tutti possiamo fare la differenza, tutti possono farla».
Spillover. L'evoluzione delle pandemie di David Quammen
"Il virus siamo noi, nessuno si senta offeso". Un'intervista a David Quammen
da "Wired"
da "Wired"
“Siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”: non sono parole di un filosofo evoluzionista ma di un autore americano poco più che settantenne, un uomo nato in Ohio nel ’48, a pochi anni dalla fine della guerra, e che della sua infanzia ricorda il tempo passato in una foresta di pini, poi distrutta dai bulldozer per fare spazio a qualcos’altro (“un’esperienza formativa”, la definisce lui). David Quammen è una persona parecchio impegnata, di questi tempi: scrittore e divulgatore scientifico, ha una carriera invidiabile anche da giornalista e columnist, ma è soprattutto l’autore di Spillover, il saggio narrativo del 2012 (in Italia è arrivato nel 2014 con Adelphi) sulla diffusione dei nuovi patogeni, tornato di urgente attualità con la crisi del coronavirus e meritevolmente andato a ruba.
Nel suo libro più celebre – un allucinato ma scrupoloso viaggio mistico di scoperta alla radice della condizione umana, solo mascherato da nonfiction a tema scientifico – Quammen mette insieme una storia letteraria delle grandi epidemie, e insieme ci spiega perché saranno sempre di più: parla (siamo nel 2012, tenete a mente) della prossima pandemia globale e si chiede se verrà fuori da “un mercato cittadino della Cina meridionale”, spiegando puntualmente che questi virus sono l’inevitabile risposta della natura all’assalto dell’uomo agli ecosistemi e all’ambiente. “Quando hai finito di preoccuparti di questa epidemia, preoccupati della prossima”, ha detto con poco ottimismo di recente in una sua column sul New York Times. Noi di Wired gli abbiamo fatto qualche domanda sulla complicata gestione italiana del coronavirus, su come possiamo fermare i contagi e in che modo il riscoprirci all’improvviso un unico, grande ospite per il virus influisce sul nostro concetto di identità.
In un op-ed sul New York Times più di un mese fa, lei sosteneva che era troppo presto per conoscere la vera pericolosità del virus che allora era stato ribattezzato nCoV-2019. Guardando agli ultimi giorni, come definirebbe lo sviluppo attuale dell’epidemia?
“È vero, sul New York Times alla fine di gennaio ho detto che non sapevamo ancora quanto sarebbe stato pericoloso questo nuovo virus (è interessante notare che non sapevamo nemmeno come chiamarlo. Il nome provvisorio, come dicevo, era nCov-2019. Ora la sua denominazione ufficiale è Sars-CoV-2, anche se le persone stanno facendo confusione chiamandolo Covid-19, che invece è il nome della malattia). C’è ancora moltissima incertezza. L’unica sorpresa positiva dalla fine di gennaio è che la Cina, dopo un inizio terribile, ha preso il controllo del tasso di diffusione. Per quanto mi riguarda un’altra sorpresa è anche che il morbo non è esploso nell’Africa subsahariana, in paesi che hanno bravi medici ma sono carenti sotto il profilo delle risorse sanitarie, come la Repubblica democratica del Congo. Ho timore di ciò che potrebbe succedere quando il virus arriverà. Un’altra sorpresa ancora, per forza di cose, è che fra tutti gli stati europei è l’Italia a essere stata colpita così duramente.
Sappiamo qualcosa di più, oggi, su quanto è pericolosa questa malattia per il mondo intero? No. Rimane anzi la stessa incertezza nei riguardi di: a che punto è il virus; quanto rapidamente le nazioni sapranno mettere in piedi risposte efficaci; se le chiusure, come quella della Cina a Wuhan o quella dell’Italia nelle regioni del nord, funzioneranno e, per finire, cosa potrebbe combinare il virus, ed evolvendo come”.
Il suo Spillover è giustamente citato come il testo da leggere per capire cosa sta accadendo in queste settimane. Molti hanno visto una specie di profezia nella parte del libro in cui si occupa di The Next Big One – l’epidemia prossima ventura che avrebbe colpito il mondo – immaginando un virus che avrebbe potuto “venire fuori da una foresta pluviale o da un mercato cittadino della Cina meridionale”. Stava davvero prevedendo il futuro, o era semplicemente ciò che la scienza si aspettava fin dall’inizio?
“Il mio libro essenzialmente ha predetto, in misura piuttosto precisa, ciò che stiamo vedendo: ma non sono stato preveggente, mi sono limitato a riportare in una forma composita ciò che alcuni esperti molto affidabili mi avevano preannunciato. In buona sostanza ciò che si diceva era: The Next Big One, la prossima grande pandemia, sarebbe 1) stata causata da un virus zoonotico che 2) viene da un animale selvatico, 3) verosimilmente un pipistrello, 4) probabilmente dopo essersi amplificato in un altro tipo di animale prima di passare agli esseri umani 5) poiché gli umani sono venuti forzatamente a contatto con questi animali, 6) molto probabilmente in un wet market 7) magari situato in Cina, e che 8) il nuovo virus si sarebbe rivelato particolarmente pericoloso se le persone contagiate gli avessero offerto un riparo, diffondendolo, prima di accusare alcun sintomo. Suona familiare?”.
L’aspetto più attraente di Spillover risiede forse nel mettere il lettore nei panni del virus, spiegando che le alterazioni ecologiche che gli esseri umani mettono in moto con frequenza sempre maggiore creano le condizioni perfette perché questi microorganismi proliferino. Significa che nei prossimi anni dovremo preoccuparci di sempre più epidemie come questa?
“Sì, dovremo davvero temere nuovi scoppi di epidemie virali, e sempre più crisi come questa. La cosa peggiore che può succedere con la malattia Covid-19 è che si diffonda fino a diventare una grave pandemia globale, infettando centinaia di milioni di persone e uccidendone milioni. La seconda peggior cosa che può succedere è che riusciamo a controllarla nei prossimi mesi, limitando con successo i danni e i sacrifici… e che quindi poi i politici e altri dicano okay, visto?, era un falso allarme, non è mai stato niente di che! e usino questa lettura sbagliata e compiaciuta come scusa per non arrivare preparati alla prossima epidemia.
Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno spillover, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi. Quando un virus degli scimpanzé, per esempio, fa il salto per diventare un virus dell’uomo, ha aumentato enormemente il suo potenziale di successo evolutivo. Un esempio? Il virus che chiamiamo Hiv-1”.
Perché questi virus riescono a evolvere e adattarsi così rapidamente? C’è modo di fermarli?
“Certi gruppi di virus si adattano e cambiano molto più velocemente degli altri. I più rapidi fanno parte di un gruppo di famiglie di virus noto come virus Rna a singolo filamento. Significa che i loro genomi sono composti di un singolo filamento della molecola Rna, invece che il Dna, che è a doppio filamento. Un genoma Rna a singolo filamento commette molti più errori quando si copia mentre i virus si stanno replicando: e quegli errori, che si chiamano mutazioni, sono le materie prime dell’evoluzione per selezione naturale. Il vecchio meccanismo di Darwin. Quindi questi virus Ss-Rna, in costante mutamento e adattamento, sono più capaci di trasferirsi a nuovi ospiti, come gli esseri umani, e proliferare. E tra i più noti virus Rna a filamento singolo ci sono i coronavirus”.
Qui da noi abbiamo assistito a un dibattito acceso e prolungato circa le misure precauzionali prese dal governo per prevenire il contagio: come forse sa, il 31 gennaio l’Italia ha deciso di chiudere il traffico aereo con la Cina. In molti – anche in politica – sostengono che ciò che avremmo dovuto fare era piuttosto mettere in quarantena tutti coloro che tornavano dalla Cina. Lei crede che ciò avrebbe davvero potuto evitare tutto?
“E ora il nord del vostro paese è chiuso: una misura drastica e rischiosa che il mondo intero sta guardando con apprensione e supporto. Funzionerà? Arresterà la diffusione del virus? Io non sono un esperto di salute pubblica, non rientra nel perimetro degli scopi della mia ricerca, perciò parlerò in modo cauto e e modesto, scusandomi di non poter essere più certo. La mia ipotesi è che la chiusura di per sé, che sia utile o meno, non sarà sufficiente. È accompagnata da uno sforzo urgente che mira a tracciare i contagi e i loro contatti, isolare i casi in situazioni ospedaliere dedicate, incoraggiare la quarantena domiciliare di tutti i contatti dei casi sospetti, acquisire e produrre tutte le risorse (i kit per i test, le mascherine, altro equipaggiamento protettivo, anche conosciuto come Ppe) per proteggere gli operatori sanitari che vengono a contatto coi contagiati, e applicare queste misure di supporto anche in altre parti d’Italia? Se sì, allora forse il paese si salverà dal disastro e darà al mondo un esempio di grande valore. Io di certo lo spero”.
Ho pensato spesso, ultimamente, a una cosa che afferma in modo molto efficace e affascinante nei suoi viaggi in Spillover: queste epidemie scavano a fondo nelle nostre nozioni individuali del sé e dell’identità, in un certo senso dicendoci che siamo solo un altro ospite di questo pianeta. “L’antica verità darwiniana […] che l’umanità è davvero una specie animale”, per citare ancora il suo libro: “Le persone e i gorilla, i cavalli e i cefalofi e i maiali, le scimmie e gli scimpanzé e i pipistrelli e i virus. Siamo tutti sulla stessa barca”. Ma se lo siamo, come facciamo a scendere?
“Non possiamo uscire da questa situazione, da questo dilemma: siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo pianeta e solo su questo. Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo. Siamo troppi, 7,7 miliardi di persone, e consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus.
Una soluzione? Dobbiamo ridurre velocemente il grado delle nostre alterazioni dell’ambiente, e ridimensionare gradualmente la dimensione della nostra popolazione e la nostra domanda di risorse”.
Un’ultima domanda. In buona sostanza, la Covid-19 è una cosa che non conosciamo ancora (o almeno, non abbastanza). In una società sempre meno allenata ad avere a che fare con ciò che è inaspettato e sconosciuto, questo significa – tra le altre cose – che molte persone si sono riversate nei supermercati e sui mezzi di trasporto, e hanno indossato mascherine protettive, temendo per la loro salute. Come pensa che i giornali e le istituzioni dovrebbero parlargli? Come si distingue una buona comunicazione scientifica e mediatica durante un’epidemia?
“Le istituzioni e i governi dovrebbero fidarsi dei loro scienziati – specialmente dei loro migliori epidemiologi – e dei loro esperti di sanità pubblica di lungo corso, in modo da parlare onestamente alle persone. Non devono mettere il bavaglio, zittire o riformulare ciò che dicono quegli esperti per timori che riguardano l’andamento del mercato azionario o le loro possibilità di essere rieletti. Questo è stato il grande problema nel mio paese, gli Stati Uniti, nelle ultime sei settimane. Abbiamo meravigliosi scienziati e dei funzionari della sanità pubblica molto saggi e misurati – il dott. Anthony Fauci, per fare un nome prestigioso – e loro sono le voci che il pubblico dovrebbe poter ascoltare. E sono certo che sia così anche in Italia.
E poi, ovviamente, c’è un ruolo importante per i giornalisti prudenti e gli scrittori – gente come te e me, Davide – che ascoltano la voce degli scienziati, leggono ciò che pubblicano sulle riviste scientifiche e traducono quelle materie complesse in un linguaggio chiaro e ordinario per il grande pubblico. Abbiamo l’enorme responsabilità di evitare sensazionalismi, esagerazioni o romanzamenti col semplice intento di vendere più libri o giornali, e l’obbligo di presentare le nostre storie come costruite a partire da fatti solidi e verificabili.
Per finire, auguro a voi e ai vostri lettori saggezza, coraggio e buona fortuna. Amo l’Italia e voglio tornarci il prima possibile: quando lo farò, non vedo l’ora di vedere come avrete superato – o starete superando – questa tempesta”.
lunedì 13 aprile 2020
La nostra forza, la cultura. Italia, Germania, Spagna: da tre ministri una proposta condivisa per ripartire, Dario Franceschini, Michelle Muntefering, Jose’ Manuel Rodriguez Uribes
da "Corriere della sera”, 04/04/2020
La nostra forza, la cultura. Italia, Germania, Spagna: da tre ministri una proposta condivisa per ripartire, Dario Franceschini, Michelle Muntefering, Jose’ Manuel Rodriguez Uribes
“Come riuscire a sopportare le restrizioni ai contatti sociali? Come proteggere se stessi ma anche gli altri? [...] Anche se già oggi presagiamo che questa crisi lascerà tracce profonde, siamo tuttavia convinti che in futuro il sipario tornerà ad aprirsi nei teatri dell’opera e sui palcoscenici teatrali, che la gente tornerà ad affollare le sale cinematografiche, che i giovani torneranno a frequentare i festival, a ballare ed abbracciarsi.
Nel frattempo assistiamo alla trasformazione digitale e all’impatto delle tecniche digitali sulla società globale, in cui la gente interagisce in modo innovativo e la platea si amplia. Vediamo anche che la cultura può offrire soluzioni. Questi nuovi format sono molto più di un aiuto alla sopravvivenza nell’emergenza. Ci offrono l’opportunità di accedere, senza fermarsi ai confini, a nuovi canali culturali ed educativi nonché di contribuire alla creazione di un’opinione pubblica europea. Pertanto abbiamo concordato di riflettere insieme sullo sviluppo e sul sostegno di forme digitali nella politica culturale internazionale. [...] Che cosa ne sarebbe di noi in questo momento, senza libri, film e musica in cui trovare rifugio e sostegno? Che cosa sarebbero le nostre società senza chi le ha create? Senza le artiste e gli artisti. Siamo pertanto ancora più determinati a proteggere il nostro bene più prezioso: la fiducia in una convivenza solidale e nella forza della cultura.”
Dite ai più giovani che i libri li salveranno. Come far amare la lettura ai ragazzi
da Stefano Massini, "Dite ai più giovani che i libri li salveranno. Come far amare la lettura ai ragazzi", "Robinson", 15/12/2019
"I dati recenti dell'OCSE sui giovanissimi italiani e la comprensione di un testo scritto sono un'emergenza nazionale al pari del deficit nei conti pubblici, o del dissesto idrogeologico. Siamo sprofondati al venticinquesimo posto su trentasei, una catastrofe. [...] Mi chiedo spesso dove sia la carne, dove sia sprofondata la necessità del libro come fatto sociale, e mi torna ossessivamente in mente la lezione perfetta di Herman Hesse nel 1943 con il giovane illuminato Knecht che (fra gli anatemi della sua cerchia) si impone di scendere nel mondo, tornare a guardare la gente in faccia, insegnare ai ragazzi i miracoli dell'armonia, salvandoli. Salvarli, sì: il sottoscritto vide cambiare la propria esistenza quando qualcuno riuscì a ribaltargli la prospettiva, presentandogli i libri come straordinari manuali di sopravvivenza. Fu per me una rivoluzione, scoprii che i Melville, i Kafka, i Salinger, gli Shakespeare potevano essere insostituibili alleati nel mio percorso di apprendista della vita, le loro pagine erano oracoli a cui rivolgere domande e da cui uscire illuminati, più forti, più pronti a dipanare la matassa aggrovigliata dello stare al mondo. Per questo vitale debito di gratitudine che nutro da sempre verso la grande letteratura, credo valga la pena di batterci, ostinatamente, per contagiare l'amore per i libri, puntando tutto sulla loro funzione di memoria e guida. Andrebbe fatto anche fuori dalle quattro pareti scolastiche, in mare aperto, senza salvagente, con tutti i rischi del caso, credendoci fino in fondo, scendendo una buona volta da Castalia, accettando il confronto alla pari, e non per coltivare futuri premi Nobel, bensì - solo e soltanto - persone migliori."
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"I dati recenti dell'OCSE sui giovanissimi italiani e la comprensione di un testo scritto sono un'emergenza nazionale al pari del deficit nei conti pubblici, o del dissesto idrogeologico. Siamo sprofondati al venticinquesimo posto su trentasei, una catastrofe. [...] Mi chiedo spesso dove sia la carne, dove sia sprofondata la necessità del libro come fatto sociale, e mi torna ossessivamente in mente la lezione perfetta di Herman Hesse nel 1943 con il giovane illuminato Knecht che (fra gli anatemi della sua cerchia) si impone di scendere nel mondo, tornare a guardare la gente in faccia, insegnare ai ragazzi i miracoli dell'armonia, salvandoli. Salvarli, sì: il sottoscritto vide cambiare la propria esistenza quando qualcuno riuscì a ribaltargli la prospettiva, presentandogli i libri come straordinari manuali di sopravvivenza. Fu per me una rivoluzione, scoprii che i Melville, i Kafka, i Salinger, gli Shakespeare potevano essere insostituibili alleati nel mio percorso di apprendista della vita, le loro pagine erano oracoli a cui rivolgere domande e da cui uscire illuminati, più forti, più pronti a dipanare la matassa aggrovigliata dello stare al mondo. Per questo vitale debito di gratitudine che nutro da sempre verso la grande letteratura, credo valga la pena di batterci, ostinatamente, per contagiare l'amore per i libri, puntando tutto sulla loro funzione di memoria e guida. Andrebbe fatto anche fuori dalle quattro pareti scolastiche, in mare aperto, senza salvagente, con tutti i rischi del caso, credendoci fino in fondo, scendendo una buona volta da Castalia, accettando il confronto alla pari, e non per coltivare futuri premi Nobel, bensì - solo e soltanto - persone migliori."
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Il rito delle cerimonie pubbliche per ridare dignità alle vittime del COVID-19
da Giovanni De Luna, Il rito delle cerimonie pubbliche per ridare dignità alle vittime del COVID-19, "LA STAMPA", 25/03/2020
"Cimitero di Ferrara; un lungo corteo di camion dell'esercito arriva da Bergamo con le salme di cinquanta morti da cremare ... A un cenno del sindaco i camion si fermano e partono le note del "Silenzio" fuori ordinanza; nessun nome viene pronunciato, i morti sono solo bare, oggetti inanimati. Poi il trombettiere attacca con l'Inno di Mameli. Le musiche, i camion, i soldati tutto lascia pensare a un funerale di guerra, con una
spiccata connotazione militare. E i cinquanta morti si trovano ad essere involontari protagonisti di un
rituale che - nonostante la buona volontà del sindaco- non appartiene certo alle loro vite e soprattutto
non rende giustizia alle loro morti.
Sono morti in solitudine. [...] Solitudine nella morte, solitudine nell'ultimo addio. Il funerale inscenato del sindaco di Ferrara li ha
trasformati in caduti di guerra. Non lo erano. E avrebbero voluto morire in un altro modo.
Quando tutto sarà finito dovremo ricordarci di tutto questo. La morte, con i riti che la
accompagnano, è anche un'occasione per rinsaldare i legami sociali. Quelli familiari anzitutto. In
cerimonie pubbliche come quelle inventate a Ferrara, con la cancellazione delle singole morti
individuali e il loro precipitare in una anonima dimensione pubblica, entrano in crisi elementi
decisivi per l'elaborazione del lutto. Anche dopo la morte, infatti, la personalità del defunto rimane
simbolicamente viva, coagulando intorno al suo ricordo tensioni emotive a volte difficili da gestire:
i riti religiosi, con la carica evocativa dei loro gesti e delle loro parole, intervengono efficacemente
per sciogliere queste tensioni grazie a pratiche consolidatesi in tradizioni millenarie (pianti, grida,
discorsi, liturgie, musiche) e costruite come altrettante barriere protettive contro la violenza delle
emozioni. I processi di elaborazione del lutto, l'acquisizione della consapevolezza del legame
interrotto, la riformulazione delle relazioni sociali nei confronti di una persona che continua a
esistere nel ricordo dei viventi: tutto questo è stato brutalmente lacerato dalle morti di massa
scatenate dal corona virus. Siamo quindi debitori verso chi è morto in questi giorni e verso le loro
famiglie; dobbiamo a ognuno di essi quello di cui sono stati privati. Dovremo inventarci cerimonie
pubbliche che rimettano al centro le loro singole individualità, un ricordo che gli restituisca una
presenza significativa anche nelle nostre vite: serve a loro per ritrovare la dignità negatagli e serve a
noi per poter elaborare un lutto di cui oggi non siamo ancora pienamente consapevoli."
Giovanni De Luna su IBS
Giovanni De Luna su IBS
lunedì 6 marzo 2017
I libri diventano un best seller con quattromila copie
"Classifica di «Tuttolibri». Due titoli al primo posto ex aequo. Il reportage di Friedman sull’America inquieta che ha votato Trump. E Qualcosa di Chiara Gamberale. La rabbia e la favola, in testa, insieme. Ma la notizia è un’altra. E non è buona.
Per la prima volta, da cinque anni, i battistrada dei best seller hanno venduto meno di cinquemila copie in una settimana, 4350, per l’esattezza. È vero che il mese di febbraio non è granché. E che gli italiani hanno un rapporto non felice con la lettura (metà del nostro popolo di poeti preferisce voltarsi dall’altra parte quando vede una parola scritta sulla carta). Ma queste cifre miserande sono una suoneria d’allarme. Anche perché il grande buio della crisi dei consumi sembra alle spalle. E l’anno scorso il mercato librario ha registrato un (timido) segno più.
Le nostre classifiche, stilate dalla Nielsen, registrano solo le vendite in libreria. Gli altri canali restano fuori. Mancano soprattutto i dati di Amazon, che se li tiene ben segreti, ed è un golia dell’e-commerce. Gamberale & Friedman, dunque, potrebbero aver venduto anche il doppio, o forse più, rispetto a quanto registrato dal nostro sismografo statistico. Eppure, se anche così fosse, una piccola scossa di terremoto nella terra dei libri c’è stata. Meglio non sottovalutarla. Né consolarsi con la gran vitalità che serpeggia nei Festival letterari, come sta dimostrando il Salone di Torino rinnovato che marcia come un treno.
Colpe ne hanno gli editori, soprattutto i grandi, che ci inondano di novità. E la quantità, si sa, soffoca la qualità. O quantomeno accorcia mostruosamente la vita media di un libro. Diminuire le uscite di volumi candidati a poche vendite (davvero pochissime, spesso nemmeno i fratelli o la zia dell’autore stesso, comprano la consueta copia di cortesia), che intasano gli scaffali, i magazzini, e concludono la loro mesta esistenza nella «solitudine troppo rumorosa» del macero (copyright Bohumil Hrabal), sarebbe un primo passo, serio, per aiutare un mercato sano.
I librai, dal canto loro, devono tornare ad essere librai. Ovvero punto di riferimento per i lettori. Con consigli, tisane, bussole, amache. La stragrande maggioranza delle piccole librerie indipendenti svolge un ruolo prezioso. Non sempre, le grandi catene. Una scena esemplare con commesso fisiognomicamente interinale - vista direttamente - dice tutto. La cliente: «Avete la Vita nova di Dante?». «Non mi risulta in catalogo», risponde lui pestando i tasti del computer. «Accidenti, nessuna edizione?». «No, mi spiace. Se vuole c’è una Vita nova, però è di un altro, che si chiama Alighieri».
Le biblioteche pubbliche funzionano egregiamente. In tutta Italia. Da Settimo, a Modena, a Catania. Anche se fanno salti mortali con i bilanci tagliati da patti di stabilità ottusamente algebrici. Sono sempre meno polverose nell’aspetto. Ma devono diventare ancor più luoghi misti di cultura e svago, come avviene nei (soliti) Paesi nordici, dove insieme all’incunabolo coesiste l’addio al nubilato. Tenendo ovviamente conto delle ontologiche diversità tra aspirante sposa e Enneadi di Plotino.
Amazon è comodissimo. Spedisce libri in tempo poco più che reale in zone d’Italia dove di librerie non esiste manco l’idea. Ma il suo strapotere cannibalizza il mercato, elimina giustamente gli incapaci, mette però in difficoltà i librai indipendenti. E questo è meno giusto, perché sono loro il primo motore non immobile della buona lettura.
I lettori, e soprattutto quelli forti, sono una tribù ristretta. Come i Sioux all’arrivo della ferrovia. Ma non demordono, sono vivaci, digitalmente corretti, esigenti, intraprendenti. Un fenomeno come Moduslegendi lo dimostra. La community di bibliomani che sceglie testi da acquistare tutti insieme, in un garbato flashmob, per aiutare i piccoli, funziona meglio di un esperto di marketing ed è capace di portare addirittura in top ten autori di nicchia come Claudio Morandini (la scorsa settimana) e Annie Ernaux (l’anno scorso).
La scuola fa quel che può (mica tanto), i benemeriti «bonus» cultura sarebbero da spingere più della deducibilità degli interessi sul mutuo, e sarebbe bello vedere un Oscar o un adelphino sul palco di Sanremo per far passare il messaggio che leggere è bello quanto cantare, perché mica tutti lo sanno. E la lettura viene data per scontata, scordando che anche quel gesto silenzioso, caparbio, l’unico davvero solitario nel frastuono digitale, richiede allenamento come il CrossFit.
I libri sono creature tanto forti quanto fragili. Un’ecosistema delicato che risente, come le api, di un mondo inquinato dalla rozzezza, dal qualunquismo, dall’indifferenza. (Qualità ben diffuse nell’oggi). Per preservarlo servono idee. Ma anche e soprattutto regole, leggi, denari, aiuti fiscali. E qui occorre la politica. Che finora, però, ha brillato più nel litigio che nella lettura." (da Bruno Ventavoli, I libri diventano un best seller con 4 mila copie, "La Stampa", 04/03/2017)
venerdì 3 febbraio 2017
Ragazzi, un’ora di social vi costa il 3% di felicità
"L’Università di Sheffield: «Così abbiamo misurato gli effetti per chi si collega e ha tra 10 e 15 anni». Gli indicatori: compiti, percezione di sé, famiglia, amici, scuola e vita
Tre punti (percentuali) di felicità in un’ora. Tanto costa a un adolescente essere connesso ai social network. Con l’iPad, il computer, lo smartphone. Lo hanno calcolato quattro professori di Economia dell’università di Sheffield, nello Yorkshire, che hanno sovrapposto sei indicatori prima di emettere la sentenza. Compiti, percezione di sé, famiglia, amici, scuola e vita nel suo complesso: sono questi i fattori considerati per capire in che modo infanzia e adolescenza 2.0 lasciano delle impronte nella crescita. Perché a dispetto dei limiti di età esistenti per avere un account sui social (Twitter, Snapchat e Google li hanno fissati a 13 anni), un sondaggio della Bbc rivela che tre quarti dei «bambini» dai 10 ai 12 anni ne ha già uno.
Uso dei social e benessere
Il lavoro si intitola Social Media Use and Children’s Wellbeing (Uso dei social e benessere dei ragazzini) ed è stato pubblicato su IZA, l’Institute of Labor Economics. A un campione rappresentativo di ragazzini inglesi dai dieci a quindici anni è stato chiesto, tra il 2010 e il 2014, quanto tempo trascorresse su Bebo, MySpace e Facebook (la fetta più grande ha risposto da una a tre ore). Nel frattempo, Bebo è defunto e MySpace non gode di ottima salute. Ma a supporto dell’analisi, Emily McDool, Philip Powell, Jennifer Roberts e Karl Taylor hanno fatto riferimento anche ad altre ricerche pubblicate negli ultimi mesi, compreso il recente lavoro su social network e autostima di Fabio Sabatini e Francesco Sarracino. Spiega Sabatini che insegna Politica economica alla Sapienza di Roma: «Abbiamo usato i dati di una indagine multiscopo Istat su un campione di 150 mila italiani e i risultati suggeriscono come l’uso dei social media sia correlato in modo statisticamente significativo e negativo con la propria soddisfazione economica, perché incoraggia i confronti e le comparazioni».
I confronti sulla Rete
Il tema dei paragoni è cruciale tra gli adolescenti. «Le ragazze sono più sensibili e risentono delle critiche o dei commenti sulla Rete», racconta lo psicologo Nicola Iannaccone, autore del manuale Stop al Cyberbullismo. E infatti lo studio inglese evidenzia una loro maggiore sofferenza rispetto ai maschi per quel che riguarda l’autostima. «Per molti ragazzini è fonte di stress misurarsi con modelli esterni, subire la pressione della conformità del gruppo e non sentirsi all’altezza», interviene Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento all’università Cattolica di Milano. «Quanto piaccio, a chi piaccio, cosa piace di me diventano elementi che in età pre-evolutiva contano molto di più per la costruzione del sé rispetto alla percezione di un adulto».
Teste chine sui telefonini
Eppure è proprio l’amicizia a trarre maggior beneficio dalla realtà virtuale, secondo il lavoro pubblicato su Iza. Con una sintomatica eccezione: quando si scrivono messaggi sul telefonino con una connessione 3G, quindi presumibilmente fuori di casa, le relazioni con i coetanei sono penalizzate (immaginiamo facce lentigginose chine su un piccolo schermo mentre a due metri di distanza si gioca una partita di basket o di calcetto). Il risultato finale non incoraggia. Un complicato incastro di ascisse e ordinate avverte che chi spende un’ora a chattare sui social network riduce del 3 per cento la probabilità di essere davvero felice." (da Elvira Serra, Ragazzi, un’ora di social vi costa il 3% di felicità, Corriere della Sera, 01/02/2017)
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