martedì 14 agosto 2012

A Life with books


Julian Barnes: my life as a bibliophile (The Guardian)


"Ho vissuto nei libri, per i libri, secondo i libri e con i libri; in anni recenti ho avuto anche la fortuna di vivere di libri. Ed è attraverso i libri che per la prima volta ho capito che esistevano altri mondi oltre il mio; che ho cercato per la prima volta di immaginare cosa si prova nei panni di un altro; che per la prima volta ho incontrato quel legame profondamente intimo che nasce quando la voce di un autore si insinua nella mente di chi lo legge. È stato forse un bene che i primi dieci anni della mia vita non abbiano conosciuto la concorrenza del televisore; e che quando a casa finalmente ne arrivò uno, rimase sotto lo stretto controllo dei miei genitori. Erano entrambi insegnanti, quindi il rispetto per i libri e ciò che contenevano erano impliciti. Non andavamo in chiesa, ma andavamo in biblioteca. (...) Possedere un certo libro - un libro che ti eri scelto da solo - equivaleva a un atto di autodefinizione. E quella autodefinizione andava protetta, fisicamente. Per questo coprivo i miei libri preferiti (in edizione inevitabilmente economica, per motivi di ristrettezze finanziarie) con una pellicola adesiva trasparente. Prima ancora, però, in un corsivo recentemente acquisito, annotavo il mio nome sul margine della parte interna della copertina con un inchiostro blu, sottolineandolo di rosso. Tagliato e adattavo poi la pellicola in modo che questa proteggesse anche la firma che stabiliva la proprietà del volume. Alcuni di questi libri - ad esempio le traduzioni dei classici russi di David Magarshack per la Penguin - si trovano ancora oggi sui miei scaffali. L'autodefinizione era una sorta di magia. Lentamente, con il tempo, ne conobbi un' altra: quella del libro usato, di seconda mano, non nuovo. Ricordo una fila di prime edizioni di Auden esposte nella vetrina di un vicino di casa: un uomo che decenni prima aveva realmente conosciuto quell' autore, insieme al quale aveva addirittura giocato a cricket. Circostanze che mi sembravano strabilianti. Non avevo mai poggiato lo sguardo su uno scrittore, né avevo mai conosciuto una persona che ne avesse incontrato uno. Mi era capitato forse di sentirne uno o due alla radio, e vederne uno o due alla televisione, intervistati a 'Faccia a faccia' da John Freeman. Ma il nesso più intimo che collegava la mia famiglia e la letteratura era rappresentato dal fatto che mio padre aveva studiato lingue moderne all'università di Nottingham, dove insegnava Ernest Weekley, la cui moglie era scappata con D. H. Lawrence. Oh, e una volta mia madre aveva scorto su un binario della stazione di Birmingham R. D. Smith, marito di Olivia Manning. Ora però mi trovavo di fronte a dei libri appartenenti a un uomo che aveva conosciuto di persona uno dei più famosi poeti viventi del Paese. Non solo: quei volumi contenevano le parole di Auden così com' erano state scritte in origine. Percepivo acutamente questa magia, e provai il desiderio di possederne una parte. Così, a partire dagli anni dell' università divenni un collezionista, oltre che un fruitore, di libri - e scoprii che non tutte le librerie erano di proprietà di WH Smith. Nei dieci anni che seguirono, o giù di lì - dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta - divenni un instancabile cacciatore di libri. Mi recavo nelle cittadine dei mercati e nelle città delle cattedrali alla guida della mia Morris Traveller, che caricavo di libri acquistati a un ritmo che eccedeva di gran lunga quello di ogni possibile velocità di lettura. (...) Già a quell' epoca probabilmente preferivo i libri usati a quelli nuovi. In America li chiamavano con disprezzo "libri vecchi", ma era proprio a quella continuità di fruizione che dovevano parte del loro fascino. Un libro offriva la sua visione del mondo a una persona, poi a un'altra, e così via per generazioni; mani diverse avevano stretto lo stesso volume traendone degli insegnamenti talvolta uguali, talvolta diversi. I libri usati dimostravano la loro età: tradivano i segni del tempo così come la pelle degli anziani è costellata da macchie senili. Inoltre avevano un buon odore - anche quando puzzavano di sigarette e (occasionalmente) di sigaro. Molti poi rivelavano al loro interno delle testimonianze odorose: annunci di case editrici ormai scomparse e vecchi segnalibri - spesso con la réclame di qualche compagnia di assicurazione o della saponetta Sunlight. Ogni volta che potevo mi recavo a Salisbury, Petersfield, Aylesbury, Southport, Cheltenham o Guildford per infilarmi nel retro dei negozi, nei magazzini e nei depositi. Nei luoghi dove le rilegature erano pregiate o la consapevolezza del valore di ogni articolo in vendita troppo acuta, mi trovavo decisamente meno a mio agio. Preferivo il democratico disordine di un negozio le cui merci erano disposte approssimativamente e dove fosse possibile concludere buoni affari. A quei tempi il turbinoso avvicendarsi dei titoli che la gestione centralizzata delle librerie impone non esisteva, nemmeno nei negozi che vendevano libri nuovi. Oggi un nuovo romanzo in edizione cartonata rimane sugli scaffali di una libreria in media per quattro mesi - sempre che riesca ad approdarvi. A quell'epoca invece i libri sostavano sugli scaffali sino a quando qualcuno li comprava, o non erano messi a malincuore in offerta, o trasferiti al reparto dell' usato, dove potevano rimanere per anni. Spesso quel libro che non potevi permetterti o non eri sicuro di desiderare sul serio era ancora lì al tuo ritorno, l'anno successivo. I negozi di seconda mano insegnavano inoltre che uno scrittore può finire fuori moda. Morgan, Walpole, Yates, Lytton, Ellen Wood ... metri e metri di scaffali delle loro opere attendevano che il vento della moda cambiasse nuovamente direzione. Ma accadeva di rado. Acquistavo libri con una foga che con il senno di poi riconosco essere stata una sorta di dipendenza: la bibliomania dopotutto è un disturbo noto. L'acquisto dei libri consumava di certo più della metà del mio reddito disponibile. Compravo le prime edizioni degli scrittori che più ammiravo: Waugh, Greene, Huxley, Durrell, Betjeman. Compravo le prime edizioni di poeti vittoriani come Tennyson e Browning (senza aver letto né l' uno né l'altro), semplicemente perché mi sembravano incredibilmente economiche. Il mio collezionismo (o, forse, feticismo) ha iniziato a scemare dopo la pubblicazione del mio primo romanzo. Forse, inconsciamente, ho pensato che essendo ormai in grado di produrre da solo delle prime edizioni avevo meno bisogno di possedere quelle di altri. Ho persino iniziato a vendere dei libri, cosa che un tempo avrei giudicato inconcepibile. Non che questo abbia rallentato il ritmo dei miei acquisti: continuo a comprare libri più velocemente di quanto riesca a leggerli. Ma, ripeto, lo ritengo assolutamente normale: sarebbe proprio strano circondarsi solo della quantità di libri che si avrà il tempo di leggere negli anni che ci restano da vivere. Inoltre, rimango profondamente attratto dai libri e dalle librerie. Sia gli uni che le altre oggi subiscono delle pressioni enormi. In una libreria il mio ultimo romanzo vi sarebbe costato 12,99 sterline, ma circa la metà (più spese postali) se acquistato online e solo 4,79 sterline se scaricato su Kindle. I vantaggi economici appaiono incontrovertibili, ma per fortuna la lettura e l'acquisto dei libri non sono mai stati del tutto determinati da fattori economici. Verso la fine della sua esistenza John Updike era diventato pessimista circa il futuro del libro stampato: «Chi, in quel futuro inimmaginabile leggerà quando sarò morto? La pagina stampata è stata un breve miracolo durato solo metà millennio ...». Io sono più ottimista, sia per quanto riguarda la lettura che i libri. I non-lettori, i cattivi lettori, i lettori pigri esisteranno sempre - e sono sempre esistiti. La maggioranza delle persone sa leggere, ma solo una minoranza di loro fa di questa competenza un'arte. Tuttavia, nulla può sostituirsi a quella precisa, complessa, sofisticata comunione tra un autore assente e il suo lettore, assorto e presente. Né credo che gli e-reader prenderanno mai del tutto il posto dei libri - anche se dovessero superarli numericamente. Ogni libro è diverso al tatto e alla vista, mentre le opere scaricate su Kindle sono tutte esattamente uguali (benché forse un giorno gli e-reader saranno dotati di una funzione "olfattiva" che con un click permetterà al vostro romanzo elettronico di Dickens di emanare odore di carta umida, del passare del tempo e di nicotina). I libri dovranno guadagnarsi la propria sopravvivenza - e altrettanto dovranno fare le librerie. I libri dovranno diventare più desiderabili: non beni di lusso, ma oggetti ben disegnati, accattivanti, capaci di suscitare il desiderio di prenderli in mano, comprarli, regalarli, conservarli, farci pensare di rileggerli e ricordarci, ad anni di distanza, in quale edizione abbiamo scoperto qualcosa per la prima volta. Non nutro alcun pregiudizio luddista contro le nuove tecnologie; è solo che i libri sembrano contenere conoscenza, mentre gli e-reader danno l'impressione di contenere informazioni. I libri che mio padre vinse a scuola sono ancora oggi sui miei scaffali, a novant'anni di distanza. Preferisco leggere le poesie di Goldsmith su quelle pagine anziché online. Lo scrittore americano e dilettante Pearsall Smith disse un volta: «Alcune persone pensano che ciò che conta è vivere; io però preferisco leggere». La prima volta che lessi questa frase mi sembrò arguta; adesso invece la trovo - al pari di molti aforismi - una falsità ben confezionata. Vivere e leggere non sono attività separate. La loro distinzione è fittizia (come la scelta tra «perfezione della vita o perfezione del lavoro» ipotizzata da Yeats). Quando leggi un bel libro non fuggi dalla vita, ma ti ci immergi più in profondità. Esiste forse un elemento superficiale di evasione - in paesi, tradizioni, modi di parlare diversi - ma di fatto leggendo non facciamo che approfondire la nostra comprensione delle sfumature, dei paradossi, delle gioie, dei dolori e delle verità della vita. Lettura e vita non sono separate, bensì simbiotiche. E per questo impegnativo compito di scoperta e scoperta di sé esiste e rimane uno strumento perfetto: il libro stampato." (da Julian Barnes, Per noi bibliofili i libri contengono conoscenza mentre gli ebook raccolgono informazioni, "La Repubblica", 12/08/'12; traduzione di Marzia Porta; il saggio integrale A Life with books è uscito in Gran Bretagna da Jonathan Cape per la Independent Booksellers' Week)





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