sabato 26 febbraio 2011

Diario di lettura: Vittorino Andreoli


"Il primo in Italia a spiegare al grande pubblico i misteri della psiche: ogni anno pubblica due libri, uno di saggistica (l’ultimo sul denaro), l’altro di narrativa
«Si accomodi in quella poltroncina, vuole? È lì che si sono seduti tutti. In quel periodo, dopo il 1992, questo studio tranquillo, in un’appartata città di provincia, pareva più protetto. Arrivavano da Roma per curarsi: avevano visto disgregarsi un mondoGli incontri fra psichiatra e paziente sono sempre costellati di silenzi, ma con i miei malati di Tangentopoli questi smarrimenti erano ancora più lunghi e angosciosi. Per questo ho piazzato un piccolo quadro sulla parete, questo con la maschera nera di Carnevale: era lì che si andava a posare il loro sguardo nei momenti di imbarazzo».
Lo studio del professor Vittorino Andreoli, in un bel palazzo veronese di pietra non lontano dall’Adige, ha visto queste e milioni di altre cose. Psichiatra tra i più insigni in Italia, educato nella sua città ma innamorato della Scozia («Stevenson, i fari, la nascita della psicologia infantile!»), e con una lunghissima esperienza accademica tra Gran Bretagna e Stati Uniti, Andreoli è anche un divulgatore appassionato: il primo, da noi, a spiegare al grande pubblico i misteri della psiche. Autore generosissimo, pubblica al ritmo di due libri l’anno: che uno dei due debba essere un saggio e l’altro un’opera di narrativa è un impegno contrattuale e anche, come vedremo, un motivo di risentimento. Dopo aver analizzato i disagi familiari degli italiani, i grandi delitti, droga e sofferenze degli adolescenti, ha appena pubblicato con Rizzoli, Il denaro in testa - questa volta toccava al saggio -, tutto incentrato sui soldi.
Non si può dire che lei non sia sull’attualità, professore, in quest’Italia di ricatti dove pare che tutti abbiano un prezzo ... «Certo gli sviluppi sono andati oltre l’immaginabile, però il libro era nato da un mio fastidio incontrollato contro lo strapotere dell’economia e della finanza. Non è possibile che una disciplina finisca per mangiarsi tutto il resto, e che ci si riduca a dipendere esclusivamente da quello che si perde o si guadagna. Ero stufo di veder vanificate le arzigogolate raffinatezze della psicoanalisi da un crollo in Borsa: lo so, nelle favelas brasiliane Freud non serve a nulla, ma che noi psichiatri finissimo per essere ridicolizzati ... I miei colleghi di Parma, all’epoca dello scandalo Tanzi, mi raccontavano che i pazienti arrivavano la mattina e invece di portare il solito sogno della notte scoppiavano a piangere: “Dottore ho perso tutto, dottore non posso più pagarla ... ”Ecco: all’inizio del libro mi chiedo se il denaro ha legittimità di entrare in psichiatria. Dimostro che è così e ne analizzo le varie declinazioni: il modo in cui si fa malattia, come crea infelicità, dipendenza. E’ diventato la misura di tutte le cose. Quando, per citare Protagora, la misura di tutte le cose dovrebbe essere l’uomo».
C’è un autore che, qui, lei cita in modo appassionato e pertinente, ed è Aldous Huxley. Ha fatto parte delle sue letture di formazione? «Ah sì, nel libro rammento gli Alfa-Plus del Mondo nuovo. Huxley è stato un incontro importante della mia giovinezza: fra l’altro era fratello del biologo, e io nasco da studi di quel tipo. In quegli anni cominciava ad affacciarsi l’idea che l’uomo potesse essere reso felice addirittura attraverso un condizionamento in provetta. E non era fiction, badi, ma un’ipotesi scientifica ...».
Quali altri scrittori hanno contato per lei, soprattutto all’inizio? «Il primo che mi viene in mente è Pirandello. Grandissimo psicologo, anche se non ha mai avuto un rapporto diretto con l’analisi. Ha tentato il suicidio, lo sa? La sua vita era tormentata da una moglie pazza, affetta da un grande delirio di gelosia. Uno, nessuno e centomila è una lettura d’obbligo per chi si voglia occupare di sofferenza psichica. Ma tutta la letteratura è una mia passione. Purtroppo legata a un dramma».
Nientemeno? «Ma sì, io sono una vittima della differenziazione forzata tra fiction e saggistica. Vede, ho sempre scritto le storie dei miei matti, fin da quando avevo 22 anni, facevo pratica nel manicomio di San Giacomo della Tomba qui a Verona e mi portavo un grande schizofrenico, Carlo Zinelli, a casa nel fine settimana. Quando mia madre certo avrebbe preferito una ragazza, magari bruttina ... La cartella clinica di questo Zinelli era così gelida e impersonale da farmi spavento: “Assume farmaci, non si nutre, accusa male al ventre ...”. Ma era un essere umano, quello? Non dimentichi che, all’epoca, ci si chiedeva se gli schizofrenici vedessero in bianco e nero o a colori, e neanche si metteva in conto che avessero senso morale e senso estetico ... Dunque, io frequentavo quelli che erano considerati “quasi uomini” e i casi li trasferivo su carta in modo narrativo. Erano anche i tempi del conflitto fra le due culture, ha presente il libro di Charles Snow? Mio padre, il mio eroe, mi sgridava: “Vittorino, ma sei matto? Se sei uno scienziato mica puoi scrivere quella roba!”. Per anni ho tenuto una cassaforte piena di manoscritti segreti».
E quando ha iniziato a pubblicare, da dove ha cominciato? «Gli editori volevano saggi, saggi, saggi! Prima Mondadori, per cui lavoravo a una collana straordinaria, la Est. Poi Valentino Bompiani, con cui intrattenevo rapporti molto amichevoli, e che credevo volesse pubblicare i miei romanzi. E invece no: “Andreoli, io le ho steso un tappeto rosso, ma sa che cosa voglio da lei ...”. Ora sono, da tanti anni, con Rizzoli, ho un ottimo rapporto con Paolo Zaninoni, ma un contratto che mi obbliga a un saggio all’anno. Quando, glielo confesso, io ai saggi dedico il 20% delle mie energie. L’altro 80 è per le storie ...».
Due libri l’anno, oltre al mestiere di psichiatra. Come fa a onorare un impegno così pressante? «Scrivere non mi diverte, è una fatica terribile. Ho le mie liturgie, i miei tempi, le penne giuste, una lunga meditazione sulla costruzione, il titolo di lavoro, l’indice. E per lavorare mi chiudo in un posto dimenticato da tutti, nel Nord della Scozia, in un monastero sull’Atlantico. Niente cellulari, niente tivù, niente scocciatori. Il fornaio è a tre miglia di distanza».
Avrà letture che la sostengono nei momenti di sollievo. «Non sono il tipo che legge per distrarsi. I miei libri sono sempre finalizzati a un progetto: sottolineati e con i foglietti fra le pagine. Resto, anche quando leggo, lo psichiatra dei casi estremi, cerco i miei matti anche lì: amo Dostoevskij, che era pazzo, epilettico, gran giocatore d’azzardo. E Strindberg, e Pirandello. Ma prima di tutto c’è la tragedia greca, soprattutto Euripide, soprattutto Medea».
Quanto alla poesia ... « ... se mi lascia fare, le declamo Ungaretti: “L’uomo attaccato nel vuoto / al suo filo di ragno”: c’è qualcosa di più straziante? Oppure Cardarelli, I gabbiani: “Non so dove i gabbiani abbiano il nido, ove trovino pace. Io son come loro in perpetuo volo. La vita la sfioro com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo. E come forse anch’essi amo la quiete, la gran quiete marina, ma il mio destino è vivere balenando in burrasca”. Così vivo io: in burrasca. Con tutta la sofferenza psichica che c’è al mondo, difficile fare altrimenti»." (da Egle Santolini, Evviva i matti come Dostoevskij, "TuttoLibri", "La Stampa", 26/02/'11)

1 commento:

Saskia Avalle - Collegio Nuovo, Fondazione Sandra e Enea Mattei ha detto...

Stasera, 24 maggio, ore 21.15 Vittorino Andreoli incontrerà il pubblico in un incontro promosso dal Collegio Nuovo - Fondazione Sandra e Enea Mattei di Pavia, Via Abbiategrasso 404 27100 Pavia.