lunedì 5 ottobre 2009

La malattia chiamata donna di Marco Innocenti

La malattia chiamata donna di Marco Innocenti (Mursia)

"Forse le donne, specialmente se dotate di quella bellezza incantevole, inspiegabile, che ferma il respiro, specialmente se inquiete e talentuose, hanno un'autentica vocazione autodistruttiva, inseguono uomini sbagliati, carriere sbagliate, sogni sbagliati. Non si spiegherebbe altrimenti la serie di tristissimi finali che lega, come i grani di un rosario, le vite, diversissime, di Zelda Fitzgerald e Djuna Barnes, Marilyn Monroe e Camille Claudel, Janis Joplin e Margaux Hemingway. Ventitré depresse molto particolari, alcune marchiate per sempre dalla diagnosi di schizofrenia, che un tempo si assegnava con facilità a ragazze inquiete, nevrotiche, creative, passate attraverso l'alcol, le pastiglie, i tentativi di suicidio, altre colpevoli di essere troppo belle, come Marilyn, troppo spregiudicate, come Clara Bow (distrutta dagli scandalosi amori con mezza Hollywood, rivelati da una segretaria), troppo fragili, come Virginia Woolf. In tutte c'è il desiderio, e la paura, di vivere, il tipo di ansia che brucia dentro, che consuma, una spinta verso l'assoluto che può avere come unico risultato il fallimento, anche se scrivi poesie bellissime (Sylvia Plath) o scolpisci statue con l'anima (Camille Claudel). Marco Innocenti le mette in fila, curiosa collezione di farfalle, ricavando uno schema, che non è il solito 'genio e sregolatezza': in queste donne c'è la coscienza della loro diversità e il bisogno di superarla in qualche modo, con il successo, con la droga, ma soprattutto con l'amore. 'Marilyn amava amare, amava pensare di amare', diceva di lei Truman Capote. Sarebbe stato lo stesso se Auguste Rodin avesse lasciato la moglie per la dolce e disperata Camille, se Ted Hughes non avesse piantato di botto Sylvia Plath, se Zelda Fitzgerald, la flapper più desiderata degli Anni Venti, non si fosse disancorata dalla realtà cercando di realizzarsi nella danza, contro se stessa, o nella scrittura, contro il famoso marito Scott? Difficile a dirsi. Colpisce in queste belle-e-famose il metabolismo accelerato, il gusto per l'eccesso, la voglia di fare tutto, avere tutto ('soldi, anfetamine, cabriolet, uomini e donne' era la lista di Francoise Sagan), il più presto possibile, come se, innescato in un meccanismo a orologeria, corressero per non perdersi niente prima di morire. Ci hanno lasciato l'incarnazione sofferta della modernità - e alcune sono davvero modernissime, come la dimenticata Nancy Cunard, l'ereditiera scolpita da Brancusi, fotografata da Beaton e Man Ray, dipinta da Kokoschka, corteggiata da Joyce, che è stata editrice, reporter di guerra, attivista politica - la ricerca di un senso, al loro tempo e al nostro. Per tutte, potrebbe valere la frase di Katherine Mansfield: 'Non sopporto i giorni che non valgono la pena di essere vissuti'." (da Rosellina Salemi, Bellissime e dannate, "Il Sole 24 Ore Domenica", 04/10/'09)

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