sabato 28 febbraio 2009

La legge e la sua giustizia di Gustavo Zagrebelsky


"Con la sua prosa elegante e coinvolgente, con la mai placata volontà di ricerca che si nutre della virtù del dubbio, nel suo ultimo saggio su La legge e la sua giustizia (Il Mulino), Gustavo Zagrebelsky ci prende per mano e ci accompagna, in una riflessione sempre più profonda, a rivisitare le domande di sempre: cos’è la giustizia? in che rapporto sta con la legge? Di cosa si sostanzia? Come cercare di avvicinarvisi? Lasciandoci, dopo averci arricchito con le sue risposte, con un nuovo interrogativo, profondo come una voragine. Da sempre il diritto ha due volti: quello formale (la forza che diventa legge scritta) e quello sostanziale (l'equità, i mores, i valori, variabili nel tempo, intorno ai quali un agglomerato di persone diventa società). Da sempre il rendere giustizia è in bilico tra queste due sponde. Grandi delitti sono stati commessi, nel corso della Storia, sbandando verso una di esse: sia invocando la sovranità della legge, sia invocando, oltre la sua lettera, la giustizia sostanziale, i valori del popolo. 'La legge è legge, l'abbiamo solo applicata', si giustificavano i criminali nazisti processati a Norimberga. 'Si deve punire seguendo il sano sentimento del popolo, oltre il pregiudizio borghese del nullum crimen sine lege', proclamavano i giudici della Russia staliniana che ordinavano la fucilazione della madre colpevole di aver raccolto il cadavere del figlio ribelle. Dunque, bisogna stare all'erta: il diritto come forma può diventare strumento del più forte, che non persuade ma prevarica sul debole; ma anche i valori (le 'leggi non scritte' invocate da Antigone) a volte generano mostri: quando, per essere realizzati, ci chiedono di non badare alle regole. In una lunga traversata, che dalla Grecia classica ci porta sino ad oggi, Zagrebelsky ci racconta, con una lettura coltissima - che è impossibile condensare in poche righe - le diverse idee di giustizia che hanno segnato la storia dell’umanità. Dal nómos sovrano di Pindaro, che 'traduce in giustizia la violenza massima', al 'governo delle leggi' dello Stato di diritto, alla concezione della legge come strumento di garanzia contro gli abusi di potere dello Stato e dunque alle moderne Costituzioni, 'cataloghi di diritti inviolabili'. Una storia di certezze granitiche che diventano dubbi: dal dialogo tra il giovane Alcibiade e Pericle ('Dimmi, Pericle, mi sapresti dire che cosa è la legge?') alle incertezze del costituzionalismo universale della civiltà globalizzata, che si allarga dai territori alla terra, evocando i principi eterni delle libertà individuali, della pace e della dignità della persona. Con una prima conclusione: la divinizzazione della volontà generale cristallizzata nella 'forza di legge' - concetto che ha servito, di volta in volta, le monarchie assolute, i giacobini della Rivoluzione, la borghesia liberale dell’Ottocento, le riforme del primo Novecento ed infine le dittature di destra e di sinistra che ne seguirono - è tramontata con le democrazie costituzionali del secondo dopoguerra. In cui la Costituzione, il 'lato materiale' del diritto e della sua giustezza, pone le basi dello stare insieme ma organizza anche limiti e cautele alle leggi espressione della forza delle maggioranze. Le tradizioni, i valori che costituiscono il tessuto connettivo di un popolo sono il patrimonio comune: di fronte al quale il legislatore deve sapersi fermare e che l'interprete della legge deve riconoscere e portare alla luce. Da qui il nuovo ruolo del giudice: non solo esperto di leggi ma di diritti; custode della loro complessità; capace di rispettare la forma della legge e, applicandola, di nutrirla e farla vivere dei principi costituzionali, del modo in cui questi sono vissuti nel presente. Un compito che esige duttilità, cultura, equilibrio. Anche perché i principi costituzionali ci spingono in una direzione senza specificare come percorrerla. Ed ecco dunque l'interrogativo che Zagrebelsky ci lascia davanti. Alla domanda di sempre (quale giustizia?) se ne aggiunge un'altra: quali magistrati? Se l'ordinamento giuridico non è un orario ferroviario e i giudici non sono impiegati chiamati ad azionare scambi e semafori nei tempi prestabiliti, come selezionare questi giudici, come formarli, come renderli responsabili? Basta, a legittimarli, la loro preparazione tecnico-giuridica? Se essi sono i 'custodi delle promesse costituzionali', chi lo custodisce? Come coniugarne indipendenza e responsabilità? Come collegarli al principio della sovranità popolare quando il 'popolo sovrano', che fa le leggi, non è altri che la maggioranza degli elettori? Domande spesso strumentalizzate per fini loschi. Ma che ancora attendono risposte. Anche su questo, il libro di Zagrebelsky non ci rassicura. E', piuttosto, 'l'amico ricco di esperienza' che ci costringe a pensare, amplia le prospettive, turba le certezze, inquieta le nostre riflessioni." (da Paolo Borgna, Bisogna ascoltare la Costituzione, non la vox populi, "TuttoLibri", "La Stampa", 28/02/'09)

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