sabato 7 febbraio 2009

Dopo tutto questo di Alice McDermott


"Viene spontaneo, leggendo Dopo tutto questo (Einaudi), il sesto romanzo dell’americana Alice McDermott, riandare con la mente al fondamentale itinerario della narrativa di John Updike, l’inarrivabile scrittore appena scomparso, il cui libro ormai classico, Corri, Coniglio, apparve nel 1960, all’inizio di un decennio assolutamente cruciale, nel bene e nel male, della storia degli Stati Uniti. Dopo tutto questo si svolge precisamente in quel periodo, che per la scrittrice si colloca nella prospettiva della memoria, visto che è nata nel 1953. Non stupisce, dunque, che il romanzo sia costruito sull’esercizio della memoria, e che il titolo rimandi a quel dopo in cui il presente della scrittura si nutra della memoria, si saldi alla memoria. Del resto, nella cultura americana storia e memoria, o se volete storie e memoria, costantemente rimandano l’una all’altra. Mi scuso per il preambolo, e lo completo sottolineando un’altra caratteristica basilare, vale a dire la funzione quasi strutturale del luogo in cui il libro si articola, oltre che dell’appartenenza etnica, culturale, religiosa dei personaggi. Si tratta di piccoli borghesi di matrice irlandese, cattolici, i quali vivono a Long Island, tassello peculiare dell’universo di New York. I Keane, tale il nome del capofamiglia John, reduce della seconda guerra mondiale, si affacciano nel lungo prologo del romanzo, costruito su un abile gioco di piani temporali incrociati. Per caso John incontra Mary, trentenne ancora nubile, la sposa; avranno quattro figli, diversi tra di loro e peraltro complementari, non fosse che per l’ambiente in cui vivono e per la ricaduta della convulsa storia del loro Paese. Come spesso accade nella narrativa ma anche nel cinema americano a livelli diversi, conta innanzitutto il quotidiano, se volete l’ordinario, in cui le soddisfazioni si incrociano con le delusioni, gli appagamenti con i traumi, fino a originare nel privato lo specchio di un’epica, persino di una tragedia, nazionale, ove realistico e simbolico restano inseparabili. Dei quattro figli direi che due incarnano vicende esemplari sotto questo profilo. Jacob, nome fatalmente simbolico, va a combattere e a morire in Vietnam, perché il sorteggio - ecco il caso - ha fatalmente indicato il suo nome. La sorella, Clare, provocando scandalo rimane incinta per effetto di una relazione essa pure ordinaria, e il finale del romanzo ci consegna la cronaca del suo matrimonio risolutore, in chiesa, con le note di un pianoforte, nel segno di un rito tradizionale, il quale rimane ben lontano da quelli che l’officiante monsignor McShane definisce 'quei mostri che cantavano e suonavano le chitarre durante le messe folk'. Nella seconda parte del romanzo, acquista una valenza decisiva la rappresentazione della vita scolastica, dove il senso del cambiamento, della perdita di certezze filtra ambiguamente. Più di un recensore americano ha sottolineato quale tema di fondo del romanzo un motivo ricorrente, al quale mi sono riferito a proposito di Updike: la perdita dell’innocenza. Ma il motivo ha radici tutt’altro che recenti, e qui la scrittrice lo utilizza al servizio di una scrittura astuta, inventiva, che indugia persino sulla realtà fisica - il vento, la pioggia - sostanziando una misura talora sussurrata, mai autenticamente problematica, efficacemente tradotta. Come sempre nella narrativa di elegante consumo, McDermott garantisce che il 'dopo', affidato al linguaggio, ha dichiarato in un’intervista, 'può redimere qualunque cosa, se è giusto'. In tre decenni di vita americana, ci ha bravamente provato." (da Claudio Gorlier, A Long Island addio innocenza, "TuttoLibri", "La Stampa", 07/02/'09)

1 commento:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny