mercoledì 15 gennaio 2014

Spegnete i vostri tablet e isolatevi in quelle pagine


"I vantaggi degli ebook sono evidenti. Gli ebook sono immediati. Seduto a casa mia in Pakistan posso leggere l'accattivante recensione di un libro, non ancora disponibile nelle librerie da noi, e con un semplice 'click' iniziarne subito la lettura. Gli ebook sono anche immateriali. Quando viaggio, come mi accade di frequente, posso portarmi appresso vari volumi, senza peso e in verità senza volume, e ciò mi consente di conseguenza di preparare un unico bagaglio a mano. Eppure non sempre leggere gli ebook è un'esperienza del tutto appagante. Sì, è possibile modificare le dimensioni del carattere del testo, funzione che riveste una sua importanza per me, ora che a quarantadue anni inzio a rendermi conto di quanto si affatichino presto i muscoli oculari. Sì, gli ebook possono esssere letti al buio, essere autoilluminati, caratteristica promettente quando mia moglie dorme e io sono troppo pigro per alzarmi dal letto, o quando a Lahore i blackout si protraggono così a lungo da far scaricare anche i generatori di riserva. E infine sì, gli ebook offrono più frequenti indicazioni sul fatto che la lettura procede, dato che la necessità di cliccare lo schermo per andare avanti si presenta con una rapidità superiore alla necessità di voltare la pagina stampata, perché gli schermi a pixel tendono a contenere meno dati delle pagine stampate, senza contare che avanzano uno alla volta e non a coppie.
Nonostante ciò spesso preferisco la lettura del libro cartaceo alla lettura in formato digitale. O per meglio dire, dato che non si può più dare per scontato il predominio della carta, la c-lettura alla e-lettura.
Credo che le mie motivazioni siano dovute al fatto che ho disabilitato il browser del mio cellulare. Non l'ho eliminato ma ho sfruttato la funzione del sistema operativo del mio telefono che consente di nasconderlo e che per tornare a mostrarlo e renderlo operativo richiede l'inserimento di un codice. Pertanto posso utilizzare il browser solo quando lo ritengo necessario. Ma per la maggior parte del tempo questa impostazione serve quasi  a ricordarmi di mettere in discussione i desideri del produttore, e opporvi una certa resistenza a meno di avere buoni motivi per non farlo.
Nello stesso modo ho modificato il mio account di posta elettronica passando dall'impostazione 'push' che sollecita di continuo l'attenzione e consuma la batteria, alla funzione manuale molto meno convulsa. Le email mi arrivano quando lo decido io e cioè non tanto spesso. E il browser del mio laptop sottile e funzionale adesso visualizza un avviso che mi rammenta quanto tempo ho trascorso online (o me ne mette in guardia?).
Il tempo è il nostro bene più prezioso. Di conseguenza è importante essere incoraggiati, ogni qualvolta è possibile, a considerare la nostra attenzione non tanto in termini di qualcosa che si presta quanto di qualcosa che si consuma. Questo vago sovrapporsi di lavoro e intrattenimento costituisce il presupposto stesso, per esempio, dell'alchimia finanziaria che assegna valutazioni da decine di miliardi di dollari alle aziende dei Social Network.
Adoro la tecnologia e la possibilità di connettermi. Ma adoro anche la solitudine. Addentrandoci nell'era cyborg, una volta avviata quella trasformazione fisica che porterà a un ibrido tra essseri umani e macchine, ci saranno coloro che accoglieranno a braccia aperte questo cambiamento epocale e rimpiazzeranno felici un po' di spazio del loro cranio con processori incorporati. Ci saranno altri che invece respingeranno queste novità nella loro interezza, arrivando forse al punto di dichiarare una guerra santa, con limitate possibilità di successo a fronte di droni che operano in modo autonomo, mentre masse imperturbate di individui che adorano condividere tutto posteranno Selfie e aggiornamenti del loro status.
E poi ci saranno quelli come me, con robusti esoscheletri lasciati spesso nell'armadio, capaci di balzare in cima a un edificio se ne viene la voglia, ma anche propensi ad andarsene in giro svestiti e a sentire in spiaggia scorrere la sabbia fra le dita dei piedi.
In un mondo fatto di intrusioni tecnologiche dobbiamo ingaggiare una specie di battaglia se desideriamo conservare i nostri momenti di solitudine.
La lettura in digitale spalanca le porte alla distrazione. Invita a connettersi, a cliccare, ad acquistare. Viceversa il perimetro chiuso di un libro stampato pare offrire maggiore serenità. Riporta indietro nel tempo, a un'epoca antecedente alla connessione alla realtà virtuale. Tela, carta, inchiostro di fatto sono elemetto, corazza, scudo. Essi ofrono un certo grado di protezione e rendono possibile un'esperienza di lettura meno mediata, meno frammentata. Fanno la guardia al nostro isolamento. E' per questo che li amo. Ed e' per questo che leggo tuttora libri stampati." (da Mohsin Hamid, Spegnete i vostri tablet e isolatevi in quelle pagine, "La Repubblica", 12/01/'14)

Il giro del mondo in biblioteca


"Chissà se nella biblioteca di Alessandria d’Egitto hanno finalmente risolto il problema acustico dovuto alle gambe delle sedie spostate dai lettori. Lettori che hanno a disposizione una sala immensa e molto ben illuminata, ma un numero di libri ancora limitato e con qualche esclusione “mirata”. Non ci sono, per esempio, I versi satanici di Salman Rushdie, che però, assicura la direzione, si possono leggere in traduzione, così come mancano altri libri sospetti di poca correttezza verso l’Islam. Fu costruita sul finire del secolo scorso, non senza qualche polemica perché le ruspe avrebbero sacrificato reperti della biblioteca antica: quella che secondo una vulgata Cesare avrebbe fatto bruciare con suprema indifferenza. Luciano Canfora attribuisce invece l’incendio al Califfo Omar nell’anno del Signore 640. La Biblioteca di Alessandria è nell’immaginario di molti la biblioteca per antonomasia, anche se nessuno ovviamente ha mai visto la biblioteca antica e quella nuova è bellissima ma nuova, appunto, e potrebbe essere dovunque nel mondo.
Così la nuova Bibliothèque National di Parigi, intitolata a Mitterrand, criticatissima perché d’inverno si scivola su certe pendenze dell’entrata, non ha certo il fascino della Richelieu, antica sede ora in via di ristrutturazione, dove si conservano preziosi fondi antichi, documenti rari e molte carte di scrittori (tra le ultime acquisizioni ci sono anche quelle di Tabucchi). Quando la Biblioteca Nazionale di Roma era ospitata nei palazzi del Collegio Romano, frequentarla aveva un sapore ben diverso dal mettere piede nei saloni lucidi della nuova sede costruita in mezzo alle caserme di Castro Pretorio, ma — e lo sa chiunque abbia in casa anche una modesta biblioteca personale — gestire e aggiornare un patrimonio librario non è facile. E certo non è facile il compito delle biblioteche nazionali che devono per legge possedere e schedare ogni libro pubblicato, a costo di scoppiare e di essere costantemente in emergenza.
Comunque, Alessandria docet, c’è sempre qualcuno in qualche parte del mondo, che vuole incendiare i libri nemici e non è affatto vero che i roghi siano finiti con quelli dei nazisti. Nel 1992 i serbi hanno incendiato la biblioteca di Sarajevo e all’incirca dieci anni dopo sono state devastate le biblioteche dell’Iraq “liberato” dagli americani. Per paradosso il tiranno Saddam Hussein, con un gesto politico e non certo culturale, aveva staccato un assegno da ventun milioni di dollari (uno in più del principe degli Emirati Arabi, Feisal) per finanziare la costruzione della nuova biblioteca di Alessandria.
Confesso che frequento malvolentieri le biblioteche immense, anche se non manco mai di visitarle, magari solo per dare un’occhiata ai cataloghi. A Buenos Aires, per esempio, è inevitabile fare un salto alla Biblioteca Nazionale per rendere omaggio a Borges che ne fu il direttore. E Borges ci autorizza a dire che, dopotutto, anche le biblioteche immaginarie hanno una loro esistenza e una loro capacità di accogliere il lettore (sempre di lettore si tratta). Borges, con la sua biblioteca di Babele che poi è l’Universo, si qualifica subito come un estremista del libro. Elias Canetti destina al fuoco la biblioteca del sinologo dottor Kean, protagonista del romanzo Autodafè. Abbiamo assistito al suo ampliamento, visto che Kean ha eliminato le finestre per poter aumentare i suoi scaffali. Ma ha anche sposato, nel corso del romanzo, una incredibile tiranna popolana ignorantissima che se ne infischia dei suoi libri e del sapere e che lo ridurrà allo stremo. La cultura combatte con la barbarie, è un topos. Un’altra biblioteca immaginaria che ormai è divenuta leggenda è quella descritta da Eco neI Nome della rosa anche se qualcuno gli ha rimproverato di aver messo troppi volumi in una biblioteca medievale: ottantasettemila, mentre nel Trecento le biblioteche si potevano al più permettere venti codici e trecento manoscritti, come racconta Lucien X. Polastron nel suo Libri al rogo. Già, anche Eco fa bruciare la sua biblioteca.
Il nome della rosa, come si sa, ruota intorno a un’opera perduta di Aristotele. Non è facile che in una biblioteca si trovi un’opera perduta di un grande autore, ma non è nemmeno da escludere a priori. Chi frequenta una grande biblioteca non sa mai quali libri può trovare, mentre è escluso che possa fare scoperte sorprendenti nella propria biblioteca, dove tutto gli è noto. Così per esempio ragionava un grande studioso, Carlo Dionisotti, per lunghi anni insegnante di letteratura italiana a Londra e frequentatore della British Library.
In Italia abbiamo la fortuna di poter entrare in molte biblioteche più o me-no rimaste come erano quando furono fondate ed è un vero piacere per gli occhi muoversi, per esempio, nella grandiosa sala della seicentesca Biblioteca Angelica di Roma che ha un notevole patrimonio librario proveniente dai lasciti di vari cardinali e anche, dal 1940, il fondo librario dell’Arcadia di cui ora è praticamente la sede. L’Angelica fu una delle prime biblioteche a essere aperte al pubblico, così come la quasi coeva Biblioteca Ambrosiana fondata a Milano dal cardinal Borromeo, proprio quello citato dal Manzoni come un sant’uomo, mentre un recente studio di Edgardo Franzosini (Adelphi) racconta che proprio santo non era. Comunque la Biblioteca è lì e accanto c’è la Pinacoteca, sempre voluta dal Borromeo, dove si può ammirare tra l’altro (e l’altro è moltissimo) il famoso Cesto di frutta del Caravaggio. A Ventimiglia ho avuto modo di frequentare anni fa la Biblioteca Aprosiana, fondata appunto da Angelico Aprosio (siamo sempre nel Seicento) che oltre a sbrigare oggi l’ufficio di biblioteca pubblica, conserva anche un buon fondo antico, in gran parte dovuto al fondatore. Ci lavorò per qualche tempo lo scrittore Francesco Biamonti.
Quando tutto sarà digitalizzato e tutte le biblioteche saranno raggiungibili con il computer rischieremo di perdere lo spettacolo dei libri e delle cattedrali che li contengono? Mi auguro di no: per secoli i libri di carta ci hanno fatto una compagnia straordinaria. E poi la “birbioteca”, come la chiamava maliziosamente il Belli, è un luogo e non deve diventare un non luogo. Quando a marzo riaprirà al pubblico dopo la pausa invernale ci sarà una ragione in più per visitare il castello di Masino, nel Canavese, già della nobile famiglia Valperga e da oltre vent’anni proprietà del Fai che lo ha ristrutturato in modo mirabile. E la ragione sarà proprio la grande e antica biblioteca che il Castello contiene e che ora è stata riordinata e schedata. Il primo volume del catalogo è appena stato pubblicato da Interlinea, con magnifiche fotografie, a cura di Lucetta Levi Momigliano e Laura Tos. In quelle sale, amico dell’eruditissimo Tommaso Valperga di Caluso, che era il padrone di casa, circolava l’inquieto Alfieri. E le sue opere in varie edizioni sono ben presenti nella biblioteca del castello." (da Paolo Mauri, Il giro del mondo in biblioteca, "La Repubblica", 12/01/'14)