lunedì 23 dicembre 2013

Leggi che ti fa guarire!


"Una cosa che mi hanno insegnato, per sempre, i fratelli entrambi medici dei miei genitori, è che le malattie vanno assecondate e, salvo i casi più gravi, lasciate libere di fare il loro corso, senza scorciatoie e dosi massicce di farmaci. Così quando da ragazzi la febbre si impossessava di noi, ci dovevamo disporre con pazienza a un lungo periodo di letto e riposo. Non possedendo la televisione, ma avendo tutte le pareti di casa foderate di libri, la lettura fu l'antidoto migliore contro la noia e l'esasperantemente lento trascorrere del tempo. E lo è, per me, ancora oggi.
Come da bambini, dopo una malattia, ci si scopre fisicamente cresciuti (non sono stato un ragazzo sano: infatti sono alto un metro e novantuno), così dopo la lettura di un grosso libro la nostra personalità si allarga e approfondisce. A nove anni mi ammalai gravemente e dovetti sopportare una lunga convalescenza. Passata l'emergenza sopravvenne la noia. Non potevo alzarmi dal letto ed ero debolissimo. Così alle quattro del pomeriggio, mio padre prese a rincasare anticipatamente e a lggermi a puntate il Don Chisciotte. Quello fu probabilmente il mio battesimo cn la letteratura e la vita. Era anzitutto piacevole che quel severo papà, sempre con il naso immerso in libri e giornali, si dedicasse per metà pomeriggio a leggerm i un libro. Era un lettore caldo e appassionato. Gli piaceva raccontare e vedere sul mio volto le reazioni. Si sentiva che i suoi antenati siciliani avevano avuto familiarità, tra pupi e carretti, con le storie dei cavalieri antichi. Parteggiava apertamente per il cavaliere della Mancia e dedicava a Sancho Panza una voce tignosetta, decisamente antipatica. Amava e si identificava con Don Chisciotte. Il ritorno del reale era anche per lui sempre fonte di tristezza. Così da piccolo, ho scoperto che ci sono libri che possono essere veramente letti e gustati soltanto se si ha un lungo tempo a disposizione, senza eccessive interruzioni. Leggere ad esempio,  Alla ricerca del tempo perduto, qualche pagina ogni tanto e con lunghe pause tra un libro e l'altro, significa condannasi a un'incomprensione profonda del libro. Lo lessi tutto in una settimana dopo l'esame di maturità, quando per la prima volta fui bloccato da ripetuti capogiri e frequenti svenimenti, forse causati dallo stress per il troppo studio. Alla fine fui, quasi naturalemnte, portato a pensare che la guarigione fosse dovuta a quello splendido libro.
La cosa un po' spiacevole però è che così molti libroni rimangono attaccati, nel ricordo, a una malattia, come certe canzonette a un amore tormentato. A volte viene il sospetto che il nostro giudizio su un libro sia irrimediabilmente viziato, anche se ne siamo consapevoli, da certe sensazioni legate alla precarietà della nostra salute. Sicuramente per me fu così con Madame Bovary che lessi a  quindici anni (nella traduzione dell'ipocondriaco Oreste Del Buono) durante una crisi d'asma. E' un libro che amo molto, anche se dubito che Flaubert apprezzerebbe la mia decisa simpatia per il marito Charles, condivisa da Jean Améry, che a lui dedicò un libro straziante (Charles Bovary medico di campagna. Ritratto di un uomo semplice, Bollati Boringhieri, 2000). Però anche le successive riletture non sono riuscite a cancellare del tutto quell'appiccicoso senspo di malattia che pervade quella storia e che mi perseguita da allora. Lo dissi a Gianfranco Contini che mi esaminava nell'ottobre del 1975, proprio su quel romanzo (da me inopinatamente scelto ma che anche lui, mi confessò, apprezzava particolarmente) che si mise a ridere affermando: "Lei diventerà un seguace del farmacista Homais". I grandi russi dell'Ottocento hanno avuto bisogno di diverse bronchiti per essere letti e assimilati. Azzarderei a dire che Tolstoj, in particolare, è una vera medicina: devi prenderti molto tempo per seguire i suoi personaggie gli intrecci delle loro storie, e così facendo ti perdi e ti allontani dal letto dove stai sdraiato. Quel lungo tempo di lettura vola e ti spiazza: sembra veramente di essere finiti in Russia anche se non ci si è mai stati (e quando poi ci vai, non la riconosci). La Russia è una malattia: Dostoevskij è quello che l'ha rappresentata meglio di tutti. Mai leggersi (potrebbe risultare fatale!), a letto con la febbre e i dolori, le sue Memorie del sottosuolo: "Io sono un uomo malato ...un uomo cattivo. In me non c'è niente di attraente ...". Invece: Gogol', Tolstoj, Cechov, Mandel'stam, Cvetaeva, Bulgakov, Babel', Erofeev, Grossman, Brodskij sono la loro, e la nostra, migliore medicina. Per farmi passare la noia della lunga convalescenza, dopo un'operazione per una brutta peritonite, mi ha fatto ad esempio compagnia, ridandomi il senso della vita, Il dono, corposo capolavoro di Nabokov.
L'elenco sarebbe lungo e scendere nei dettagli di malattie e libroni letti potrebbe essere inopportuno. Ma prima di concludere, non vorrei tralasciare di raccontare come lessi e grandemente apprezzai, L'uomo senza qualità di Robert Musil: libro dalla struttura assai complessa e piuttosto impegnativo. Mi ficcai i due volumi quasi senza pensarci nello zaino prima di imbarcarmi su un grosso cargo che faceva la rotta Danzica-Helsinki, per andare a trovare una biondissima finlandese della quale mi ero perdutamente innamorato. Paivi studiava Musil, considerandolo quasi un fratello: mi chiamava (i finnici hanno uno scarso senso dell'umorismo) il "suo uomo senza qualità" e, altre volte, ricorrendo a Thomas Mann, sbrigativamente: "Felix Krull". Quando alla mezzanotte di un gennaio particolarmente freddo la nave si mosse, fendendo rumorosamente il ghiaccio che attanagliava i bassi fondali del porto, avevo già la febbre alta e, impossibilitato a prender sonno, mi raggomitolai sotto il piumone, cavai dallo zaino il primo volume e, alla luce fioca di una lampadina ingiallita, iniziai a leggere: "Sull'Atlantico  un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord [...]". I due giorni di navigazione volarono in un battibaleno e la febbre si allontanò da me senza che me ne accorgessi. Assorbii così tutto d'un fiato il capolavoro di Musil. La finlandese che mi attendeva al porto ne rimase molto stupita e commentò malignamente: "Forse voi, pigri italiani, lo avete pubblicato in una versione ridotta". Fossi stato veramente sano e avessi fatto tesoro degli insegnamenti di Agathe, avrei dovuto risalire subito a bordo di quella nave che si chiamava "Chrobry" (Valoroso). " (da Francesco M. Cataluccio, Leggi che ti fa guarire!, "Il Sole 24 ore domenica", 22/12/'13)

Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno (Sellerio)

Carrozza: meno compiti e più libri per le vacanze degli studenti


"PISA. In piazza dei Miracoli, davanti alla Torre pendente, la frase sembra il più sorprendente dei regali di Natale per gli oltre duemila studenti chiamanti a formare una scritta umana contro l'abuso di alcol. «Convincete i vostri insegnanti a non darvi troppi compiti per le vacanze», esorta Maria Chiara Carrozza. Un attimo di silenzio, sguardi stupefatti e poi ecco un'ovazione da stadio. Interrotta dalla seconda parte del discorso della ministra dell'Istruzione: «Ma il tempo che avete in più, dedicatelo alla lettura. Perché leggere un libro significa avere consapevolezza dell'importanza della cultura e può essere anche un gesto d'evasione, importante per la crescita degli individui senza ricorrere a scorciatoie come lo sballo per sentirsi più grandi o stare meglio insieme agli altri».
Apoteosi, applausi, grida di compiacimento, sorrisi. Più tardi, davanti ai cronisti, Maria Chiara Carrozza, pisana, mamma ed ex scout, già docente di Robotica e rettore della Scuola Superiore Sant'Anna, si spinge più in là e descrive una cultura da vivere, costruire e anche personalizzare quando si ha un po' di tempo libero. «Le vacanze di Natale sono ottime per scoprire le città d'arte - spiega la ministra -, visitare le mostre, i musei e poi approfondire sui libri il contesto storico e culturale di quelle visite dal vivo».
E ancora Carrozza invita i ragazzi a frequentare i concerti, di musica classica e contemporanea. Tutti eventi che arricchiscono la mente e lo spirito. Come i romanzi, «che sono una lettura ideale durante le feste» e a volte, come dicono molti pedagogisti, possono aiutare di più di qualche manuale scolastico magari studiato controvoglia. Insomma, la cultura anche come divertissement, per aprire nuovi spazi culturali, entusiasmi, voglia di giocare con i grandi classici.
Ad applaudire la titolare del dicastero dell'Istruzione non solo gli studenti. Con la Carrozza si schiera subito Marco Lodoli, scrittore, professore nelle scuole superiori e padre di due figli: «Spesso la quantità dei compiti è immensa per ragazzi - sottolinea Lodoli - e come dicono le classifiche europee a questa mole di lavoro non corrisponde neanche un grande risultato in termini di apprendimento. Anzi ...».
Emanuele Rossi, giurista e prorettore della Scuola Superiore Sant'Anna, plaude al discorso della ex collega: «Perché - spiega - descrive l'idea di uno studente che si realizza in tutte le dimensioni, non solo in aula ma fuori, nella vita di tutti i giorni e pure nelle vacanze. Maria Chiara ha una formazione scientifica ma ha sempre dato uno sguardo globale alla cultura e la sua esperienza giovanile da scout credo le sia servita ad aprirsi al mondo e all'esperienza».
Dalla ministra un ultimo consiglio agli studenti per i prossimi giorni di pausa scolastica: «Le vacanze sono un momento ideale anche per riflettere sulle scelte da compiere, soprattutto per i ragazzi che si trovano negli ultimi anni dei corsi di studi e devono scegliere i loro percorsi futuri»." (da Marco Gasperetti,  Carrozza: meno compiti e più libri per le vacanze degli studenti, "Corriere della sera", 22/12/'13)

sabato 14 dicembre 2013

Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi



"Il 1 giugno 2009 il volo Air France 447 da Rio de Janeiro a Parigi si inabissò nell'Atlantico portando con sé 228 vite. Solo nel 2012 fu recuperata la scatola nera che svelò la sorprendente causa della caduta: i piloti dell'Airbus 330 avevano perso il controllo dell'aereo per eccessiva fiducia nel computer di bordo che, ingannato dal blocco dei sensori della velocità e dell'inclinazione dell'aereo, segnalava pericolo di stallo proprio quando i piloti iniziavano a fare la manovra giusta per evitarlo (abbassare il muso dell'aereo). Confusi e incapaci di opporsi alle indicazioni del computer, i piloti hanno finito per far cadere l'Airbus nell'oceano. Se invece si fossero fidati del loro istinto, l'avrebbero riportato tranquillamente a Parigi.
Il caso dell'AF447 è stato il più tragico dei quasi novemila incidenti simili presi in considerazione dall'americana Federal Aviation Administration in un rapporto riservato, filtrato però qualche settimnaa fa sui giornali. La conclusione di questo rapporto è che i piloti stanno diventando ''troppo dipendenti ndalla tecnologia informatica'' e che occorre quindi riaddestrarli a contare più su se stessi e meno sui supporti digitali.
Qualche anno fa Manfred Spitzer, docente di psichiatria dell'Università di Ulm, ha vissuto una versione terrestre di questo fenomeno. ''Ero a San Francisco per lavoro e mi spostavo per la città in auto usando un navigatore satellitare'' racconta. ''Un giorno mi fu rubato ma, visto che avevo fatto quei percorsi tante volte, ero sicuro di potermi orientare da solo. Invece mi persi e solo allora mi resi conto che, affidandomi al gps, avevo compromesso la capacità del cervello di prendere nota dei punti di riferimento, come avrebbe fatto se avessi usato la cartina''.
Altri avrebbero archiviato l'incidente con un'alzata di spalle ma non Spitzer che riflettendo sull'effetto delle tecnologie informatiche sul cervello, da alcuni anni conduce in Germania una vera crociata mediatica e politica contro la diffusione indiscriminata delle tecnologie, culminata con la pubblicazione di un saggio dal titolo inequivocabile Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi (Corbaccio).
I dati da cui parte Spitzer sono in effetti allarmanti: negli Stati Uniti i ragazzi fra 8 e 18 anni passano ormai in media 7,5 ore davanti a uno schermo, più che a scuola o a dormire. In Italia secondo l'Undicesimo rapporto Censis sulla comunicazione, il 12,5% dei giovani tra 14 e 29 anni usa i media digitali per piu' di 6 ore al giorno e un altro 15% è fra le 3 e le 6 ore).
''Usare continuamente computer o smartphone'' spiega Spitzer ''ostacola lo sviluppo e il mantenimento di capacità come la memoria, l'autocontrollo, la concentrazione, la socialità che possono rafforzarsi solo interagendo con il mondo reale. E non si dica che i media digitali aiutano l'apprendimento: molti studi dimostrano che l'introduzione a scuola di computer, tablet o lavagne elettroniche non poorta a un miglioramento nelle competenze degli studenti. L'idea poi di utilizzare i media digitali anche per l'educazione e l'intrattenimento di bambini in età prescolare può sfociare in un disastro: a quell'età lo sviluppo cerebrale passa attraverso la manulità, i giochi collettivi, l'attività fisica, il canto e il disegno''. Spitzer esagera? Pare di no. Basta vedere cosa succede in Corea del sud, Paese che, per l'elevatissima penetrazione di media digitali (il 67% dei giovani coreani possiede uno smartphone e il 18% di loro lo usa per oltre 7 ore al giorno), sta diventano una sorta di vetrina, nel bene e nel male, del mondo informatizzato prossimo venturo. In Corea l'espressione ''demenza digitale'' viene usata già dal 2007 per i casi di estrema dipendenza da Internet, disturbo che, a vari gradi di gravità, riguarda il 12% degli studenti. Ma anche in questo quadro, lo scorso agosto ha fatto scalpore il caso di un quindicenne ricoverato in un reparto di neuropsichiatria di Seul con un nuovo tipo di ''demenza digitale'' molto simile a quella temuta da Spitzer. Il ragazzo non riusciva più a concentrarsi a lungo, né a ricordare nozioni scolastiche o anche semplici informazioni, come il pin per aprire il portone di casa. Secondo i medici l'eccessivo uso di dispositivi elettronici aveva atrofizzato la sua capacità di passare i ricordi dalla memoria di lavoro a quella di lungo termine. [...]" (da Alex Saragosa, Dementi digitali, "Il Venerdì di Repubblica", 13/12/2013)



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