lunedì 28 gennaio 2013

Una poesia tutta per loro


"Lungo è l'elenco delle donne poeta morte suicide: Anne Sexton e Sylvia Plath, Nadia Campana e Antonia Pozzi, Marina Cvetaeva e Amelia Rosselli ... E perché no, io ci metterei anche Sarah Kane, la drammaturga, che è davvero poeta. E Virginia Woolf. E la più lontana di tutte, ma quanto vicina nell'anima: Saffo, che secondo una leggenda ripresa da Ovidio e da Leopardi si gettò dall'alto di un faro nel mare aperto, per amore. La parola di cui queste donne si appropriano in modo tanto creativo, dunque non le cura, non le salva. O solo in parte. A volte le mette in contatto con zone oscure e pericolose dell'anima. Con verità impossibili da portare alla luce. Verità scomode. Che le donne hanno custodito nel silenzio del chiostro o nell' inferno della follia. Conventi e manicomi sono stati luoghi di reclusione della parola di donna. Tra grida e silenzi però ci sono arrivati anche versi di rara potenza espressiva e di una forza comunicativa sorprendente. Come nel caso di quelli raccolti nel Meridiano Rosselli. Si sa: la forza di un Meridiano - la collana che cura Renata Colorni - consiste nella sua potenza inclusiva: un autore tutto intero in un volume (o in più volumi, se particolarmente prolifico): tutto lì, presente, in mano al lettore. E l'effetto di piacere (e di possesso) si raddoppia nel caso di autori per loro intrinseca natura "disseminati", "frantumati". Così finora io avevo percepito Amelia Rosselli: come un corps morcelé, per dirla con Lacan, un corpo in frammenti. Sì, lei, esposta al destino storico della sua famiglia, lei in bilico tra lingue e culture, lei musicista e poeta, lei così fragile e nervosa, dura e pura - e chi l' abbia conosciuta lo ricorda - lei così saggia e così folle, così reale e insieme capace di allucinare il reale, mi era sempre apparsa, alla lettera, presa a morsi da una smania che la sbranava. Ora la trovo qui "riordinata", "inclusa" in una collana, dove per l'appunto si accolgono i "grandi" poeti e scrittori. E sono felice: intanto, perché una donna - e non sono molte, ancora - entra nel pantheon. E poi perché la sua entrata è accompagnata dall'intelligenza e dall'amore di chi da anni la studia, Emmanuela Tandello; e dall'alacre acribia di Silvia De March e Stefano Giovannuzzi, di Gabriella Palli Baroni, Francesco Carbognin, Chiara Carpita ... Una vera e propria officina dove la scienza esatta del testo si accompagna a una profonda empatia. E che bella la cronologia, dovuta ai primi due: un brillante compendio di storia patria, intellettuale e politica, che vede come protagonisti insieme a Amelia gli esponenti di una tradizione tra le più nobili del paese. Anni fa, per definire Amelia Rosselli m'erano venute alla mente due immagini; quella del "paria", che mi offriva Hannah Arendt; e quella dello "sradicamento", che usava Simone Weil. Leggevo le sue poesie in inglese; e mi colpì come Amelia volesse straniarsi in quella lingua. Perché anche quella lingua non è la sua. Come non sono "suoi" né l'italiano né il francese. Amelia, del resto, non cerca una lingua sua. Non è la prima, non è la sola. Basta pensare a Beckett - che sceglie di scrivere in francese. I motivi sono diversi, ma uno stesso, non troppo segreto scopo accomuna i due artisti: la sconfessione che esista una lingua madre: semmai, la lingua del poeta è quella che lui crea, la lingua è figlia. Questo fatto biografico - vivere in più lingue - consegna Amelia al suo destino di grande apolide; la conferma nella sua condizione di straniera. Ma oggi grazie a questo Meridiano ho capito che Amelia Rosselli è sì straniera, ma perché è poeta. Perché "straniera" è la poesia. Ha ragione Jakobson: la poesia è una "patologia" della lingua. Una "follia" della lingua. Come spiegare altrimenti che d' improvviso si spezzi a quel modo, piuttosto che avanzare sulla pagina fino a riempirla? Perché s'incapriccia nella rima? Perché cerca il ritorno del verso e si contorce in assonanze, in allitterazioni? In poesia la lingua gioca e accade che nel disordine del vocabolario e della grammatica si insinui un altro significato. Il poeta cerca la verità della parola non nella sua pertinenza rispetto al senso, ma esponendosi a una vera e propria espropriazione. Ecco l'eccentricità di Amelia Rosselli poeta. Incontravo spesso Amelia negli ultimi anni. Confesso che quando mi parlava delle sue ossessioni come fossero realtà, io le credevo. Sì, credevo che oscure forze la perseguitassero. Era "vero"? Non so, ma la sua angoscia mi persuadeva. Accadeva poi che in poesia il poeta calmava quell' angoscia. Quell'angoscia ha sempre nutrito la sua poesia? Non so. Ma se ha senso cercare le ragioni della poesia nelle radici biografiche del poeta, esse sono tutte qui, ora, a nostra disposizione. Basta leggere con attenzione la già lodata "Cronologia". Quello che più conta però è il segreto della creazione poetica, cui Emmanuela Tandello ci introduce invitandoci a coglierlo nella «tensione tra l'opera e la storia del suo costituirsi». È l'opera che costruisce il suo autore. Questo Meridiano lo descrive perfettamente. In questo senso ci consegna un corpo intero, il corpus poetico di una donna che "si fa" poeta. Poeta, sì. Proprio come le tante che abbiamo nominato all' inizio. Nomi che ricordano a tutti quel legame tra poesia e sensibilità estrema. Nomi che noi vogliamo ricordare per la grandezza della loro poesia, non solo per la scelta e il senso di una fine." (da Nadia Fusini, Una poesia tutta per loro, "La Repubblica, 13/12/2012)

Il museo del mondo

"Tutti i musei in cui sono stata, le gallerie, le esposizioni, le chiese, le cripte, i gabinetti di disegni e stampe, i siti archeologici, le caverne, le regge, le rovine, mi hanno lasciato qualcosa. A volte un ricordo molto concreto. Per molto tempo, ho scattato la foto oppure comprato la cartolina dell' opera che aveva dato un senso alla penosa fila in strada magari sotto la pioggia, alla fatica di aver attraversato cento stanze di un museo sterminato, al viaggio stesso che mi aveva condotto, che so, ad Algeri, a Teheran, a Washington, alla Chaise-Dieu ... Con gli anni, quel mucchio disordinato - eppure non casuale - è diventato alto come una colonna. Poi è franato, e ha cominciato a vagare per la mia casa, di scatola in scatola, tracimando sul pavimento. Ogni tanto lo frugo alla ricerca di un'immagine. I miei gusti sono cambiati, le mie conoscenze si sono arricchite. Eppure, ogni cartolina ormai sbiadita racconta una folgorazione, un innamoramento, talvolta una rivelazione. O anche l'inizio di un'avventura durata anni e anni e destinata a orientare la mia stessa vita, come fu per La Presentazione al Tempio di Tintoretto alla Madonna dell'Orto di Venezia. C' è di tutto. Tavole, quadri dipinti a olio, affreschi, graffiti, vetrate, idoli di legno e di pietra, statue, maschere, cammei, exvoto, bronzetti, noccioli di pesca, disegni, reliquiari, cariatidi, capitelli, miniature ... Opere disparate di cinque continenti e almeno cinquanta secoli: create come amuleti, preghiere o bestemmie, da uomini e donne, cacciatori e stregoni, assassini e santi, illetterati e intellettuali, gente in stato di alterazione alcolica, psichica o tossica oppure in pieno possesso delle facoltà mentali. Create per fede o per soldi, per mestiere o per amore. Nessun museo reale potrebbe contenerle. Neanche il collezionista più folle potrebbe sperare di comprarle tutte in una sola vita. Nemmeno nel mio museo immaginario possono entrare tutte. Devo selezionarne solo 50 - per raccontarvene una alla settimana, per un anno. Dunque ho dovuto operare una selezione crudele, e vi devo qualche spiegazione preliminare. Parlerò solo di pittura - che meglio può essere riprodotta su un giornale: niente arti plastiche, niente land art, body art o arti decorative. Solo opere di artisti coi quali vale la pena trascorrere del tempo - anche solo i dieci minuti che ci vogliono per leggere il mio articolo. Non necessariamente i maestri più celebrati, che pure non saranno certo esclusi. Ma anche gli irregolari, gli anomali, quelli che non hanno fondato scuole, non si lasciano etichettare o che hanno vissuto per concepire un solo capolavoro. Nel mio museo non c' è biglietto di ingresso, e dunque nemmeno ingresso. Insomma, le opere non saranno esposte in ordine cronologico. Non ho mai creduto che il tempo sia una strada a senso unico, da percorrere in una sola direzione. Esso può essere reversibile. Inoltre dalle deviazioni e dagli andirivieni si impara molto, talvolta più che da una linea retta. Né le opere saranno esposte in ordine gerarchico o tematico - per generi: tipo pittura sacra, di storia, paesaggio, fiori, ritratto, astrazione. Per un artista, sono distinzioni senza senso: non è il soggetto che conta, ma la pittura stessa. Né in ordine geografico (intendo la classificazione accademica per "scuole" - regioni, nazioni, etc.). Gli artisti non vedono l'arte così. Velázquez può illuminare Nicholas de Staël, anche se nulla apparentemente unisce la pittura figurativa di corte di un maestro spagnolo del XVII secolo alle sperimentazioni di un giovane russo degli anni Trenta del XX. Non seguirò nemmeno un criterio unicamente estetico. Cioè, non intendo costruire un' antologia dell'arte mondiale né un canone. Mi mettono a disagio quelli degli altri, e non aspiro a crearne uno mio. La mia selezione del 2013 rispecchia solo ciò che sono oggi, e non ciò che ero o che sarò domani. Siamo fluidi e mutevoli, tutto ci cambia, e il senso del percorso è nel mutamento stesso. Perfino i veri musei si riallestiscono continuamente: dai depositi emergono opere dimenticate, e nei depositi finiscono opere sopravvalutate, degradate dalla nuova generazione a lavoro di routine o di bottega - imitazione o copia. Ciò non mi impedirà di parlare di opere "canoniche" - famosissime. Ma inevitabilmente vi sembreranno sorprendenti alcune omissioni. Inoltre: devo aver visto l'opera coi miei occhi. Da vicino. Averle girato intorno, averla annusata, aver visto le crepe sulla superficie. Devo averne visto i colori, la dimensione, il supporto, la pennellata, la tecnica usata: la sua pelle, la carne, la materia. Insomma, devo essermi trovata davanti a lei - aver iniziato un dialogo che non si è più interrotto. E infine, ma soprattutto, devo desiderare di rivederla. Il desiderio di un'opera è l'unico criterio veramente fondamentale della mia selezione. Non perché abbia mai desiderato possederla, o collezionarla (collezionare è da troppo tempo un privilegio del denaro, degli imperatori, dei re, dei finanzieri: i veri musei sono spesso una lezione di storia economica, e le opere i trofei dei vincitori). Ma perché ho il desiderio di ascoltarla ancora, consapevole che essa ha tutto da insegnarmi, e non smetterà mai di parlarmi. Ne scrivo appunto per ritrovarla, e rivivere l'esperienza di quell' incontro. Se dopo aver letto questi articoli, o qualcuno di essi, sentirete anche voi voglia di vedere (o rivedere) questa o quell'opera coi vostri occhi, allora questo museo esisterà davvero e sarà nostro." (da Melania Mazzucco, Il museo del mondo, "La Repubblica, 04/01/2013)