lunedì 9 febbraio 2009

Viaggio intorno a Simenon


"A tutti quelli che hanno letto sempre e soltanto i romanzi di Simenon con il commissario Maigret perché amano la serialità: non sapete che cosa vi siete persi. E soprattutto non avete capito: anche l'altro Simneon è seriale, ha lo stesso protagonista, lo stesso ambiente, la stessa dinamica. Romanzo dopo romanzo, Simenon ci racconta storie di 'uomini che guardavano passare i treni'. E' tale il più esemplare di loro, Kees Popinga da Groningen, un uomo di quarant'anni con casa, moglie, figlia, 'una stufa del modello più perfezionato, una scatola di sigari sul caminetto e un eccellente apparecchio radio da quasi quattromila franchi'. E' un uomo dalla vita inscritta in un cerchio dove le passioni sono state barattate con le certezze, i rischi con le abitudini e l'unico atto fuori dall'ordinario è osservare la rotaia che tutto contiene e i treni che vi passano sopra per andare lontano. In un'altra vita, in un'altra storia, fa 'l'orologiaio di Everton' (Saint-Paul nella versione cinematografica), che 'si limitava a vivere senza fretta, senza problemi, senza esserne neppure appieno cosciente, ore così uguali l'una all'altra da indurlo quasi a credere di averle già vissute'. O 'il libraio di Archangelsk' che per anni mangia al ristorante italiano di Pepito, dove nulla mai cambia, facendolo diventare una seconda casa. In questa routine si muovono tutti i piccoli uomini di Simenon. Piccoli perfino quando sono (stati) grandi, come 'il presidente', l'ex primo ministro a riposo, che non a caso esordisce 'appoggiato allo schienale pressoché dritto della vecchia poltrona Luigi Filippo, di pelle nera ormai logora che per quarant'anni lo aveva seguito da un ministero all'altro'. Sono prigionieri, sconfitti o arresi senza aver mai combattuto, non stanno aspettando niente. Intorno a loro c'è uno scenario fatto di poche costanti claustrofobiche. Il più delle volte piove, in un modo che non sembra poter avere fine. Pagine intrise. [...] Il personaggio, meglio sarebbe dire l'ostaggio, nelle sue molteplici incarnazioni è segregato dalla meteorologia e da un'altra forma di oppressione: quella del clan. Il clan lo attornia, lo opprime, lo annulla. E' un cerchio che si stringe. Molto spesso a rappresenetarlo è la famiglia [...]. Questo ordine delle cose sembra immutabile, la routine infrangibile, la pioggia incessante, il clan invincibile, finché succede qualcosa. Un piccolo grande evento per un piccolo grande uomo. Lo dichiara lo stesso Simenon nelle prime righe di La verità su Bebé Donge. 'Accade talvolta che un microscopico moscerino increspi la superficie di una pozzanghera più della caduta di un enorme sasso'. Basta davvero poco: al dottor Mahé la vista di una ragazzina vestita di rosso (che 'non era una donna, e neppure un corpo', ma 'la negazione di tutto quello che era stata la sua vita'); al piccolo libraio di Archangelsk la scia dell'odore delle ascelle di Gina Palestri un giorno d'estate in cui entra nel suo negozio; al viaggiatore del giorno dei morti 'un impalpabile pulviscolo dorato' che danza in un raggio di sole mentre zia Colette sta finendo di vestirsi. E la svolta si compie, nulla è più come prima, perché nulla era mai stato così come lo si credeva. Nessuno era quel che era, conteneva in sé il germe della rivolta, la miccia dell'esplosione, la via di fuga. Talvolta un olezzo o una visione non bastano, occorrono il crimine di un figlio (come all'orologiaio) o la bancarotta del padrone (come a Popinga) perché la catena si spezzi e l'ostaggio delle convenzioni, della pioggia e dei clan si liberi e ammetta: 'Per quarant'anni ho guardato la vita come quel poverello che, col naso appiccicato alla vetrina del pasticciere, guarda gli altri mangiare dolci'. Dopodiché, entra nel negozio e si ingozza fino a morire. Questo è il bivio senza uscite a cui Simenon conduce il suo personaggio seriale, il piccolo grande uomo che non era Maigret: avvizzire nella vita segnata, o scartare di lato e abbracciare la rovina, spesso la morte. Con iniziale entusiasmo e terminale consapevolezza i più scelgono la seconda strada e svelano a se stessi 'il segreto degli uomini' come lo definisce l'orologiaio. E' un segreto mal custodito da generazioni, che Simenon espone e nobilita: è la vocazione gloriosa all'autodistruzione, la realizzazione di sé attraverso un male così purificato da trasformarsi in bene rovesciando ogni morale, l'accettazione del nulla come legge e del tutto come conseguenza. Giacché, per dirla con l'immortale Popinga: 'Non c'è una verità, ne conviene?'." (da Gabriele Romagnoli, Viaggio intorno a Simenon, "La Repubblica", 08/02/'09)

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